Garda

Manerba, vivono in tenda per disperazione

Dal 29 marzo lui vive accampato vicino al cimitero, il padre dorme sul pianerottolo della sua vecchia casa.
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«Vivo in una tenda dal 29 marzo». Ed il dramma prende corpo davanti a noi, perché questa è una storia di quelle che «se non la vedo con i miei occhi non ci credo». Così quando ieri pomeriggio Nunzio Franza ci ha chiamato in redazione per dirci che a Manerba un ragazzo vive in tenda da quasi due mesi siamo subito voluti andare a vedere di persona. Enzo, trent'anni, senza lavoro e senza casa, ci aspetta davanti al camposanto del paese; un paese ordinato con le sue belle ville e villette dai giardini ordinati che rende la vicenda ancora più penosa.

Il ragazzo e il padre Simone di 60 anni (la madre è morta anni fa) vivevano in una casa dell'Aler a Manerba, ma dopo sei anni senza pagare l'affitto l'ente è stato costretto a sfrattarli: il debito accumulato era arrivato a circa 30mila euro. Una situazione evidentemente insostenibile, su entrambi i fronti. «Senza lavoro - spiega Enzo - come facevamo a pagare l'affitto e le bollette? Quei pochi soldi che riuscivamo a racimolare li usavamo per acquistare il cibo». Dopo 15 giorni passati in albergo (a spese del Comune), per qualche giorno i due vanno a vivere col nonno di 81 anni a Bedizzole. «Ma era una condizione improponibile - racconta Enzo -. Una casa piccolissima dove ci può stare solo una persona, così io sono venuto via e dal 29 marzo mi sono "trasferito" in una tenda nel campo vicino al cimitero». Simone si è fermato ancora per qualche tempo a casa del suo anziano padre, ma poi la convivenza è diventata insostenibile anche per lui.
Ora, ed è veramente incredibile, "vive" (continuiamo a mettere le virgolette perché quasi ci vergogniamo a definire la loro una vita, quando è invece soltanto un dramma) durante il giorno nella tenda col figlio, la sera va a dormire sul pianerottolo davanti a quello che fino a qualche mese fa era il loro appartamento dell'Aler. Il ragazzo ci spiega la sua vicenda con una tranquillità che denota come la rassegnazione stia pian piano prendendo il sopravvento.

Ma la voglia di reagire cova sotto la cenere della disperazione, nonostante tutto. Per lavarsi Enzo scende ben oltre la mezzanotte alle docce pubbliche che ci sono nei pressi della spiaggia. Acqua gelida che gli ha lasciato in dono una broncopolmonite, «ma questo non mi preoccupa, sono più in pensiero per mio padre: per quanto ancora un cardiopatico con pacemaker, che deve prendere 80 pastiglie a settimana, potrà resistere in queste condizioni disumane?». Già, condizioni disumane. Il sogno di Enzo è poter mangiare un piatto di minestra calda dopo giorni e giorni di salamine ai ferri e affettati, e lo dice con un sorriso che ti verrebbe voglia di portarlo in un ristorante e offrirgliela tu la cena.

Enzo si arrangia ormai da anni con piccoli lavoretti in nero, ieri ha fatto quattro ore in un allevamento di polli ed ha portato a casa 20 euro, cinque euro all'ora, perché evidentemente c'è anche chi ne approfitta. Più spesso fa il giardiniere, ma la paga (sempre in nero ovviamente) non cambia di molto, anzi. Gli arriva una chiamata: c'è una scala da andare a pulire. «Accetto qualsiasi lavoro - dice Enzo -. ma quel poco che prendo mi serve per il cibo e la carbonella, spesso anche fare la ricarica del telefonino diventa un grosso problema: ma senza cellulare perderei tutti i miei contatti, e quindi anche la possibilità di lavorare». «Al Comune - conclude - chiedo solo un tetto dignitoso sotto il quale vivere con mio padre ed un lavoro per mantenerci». Richieste che fanno venire la pelle d'oca per la loro imbarazzante normalità, ma che la crisi ha trasformato in desideri che spesso solo il genio della lampada potrebbe realizzare. Forse nemmeno lui.
Francesco Alberti

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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