Roberto, il clochard «salvato» dall'amiciza

Lutti e disoccupazione lo avevano portato Roberto sulla strada. Senza tetto e alla deriva, ha incontrato Antonio.
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Un bel volto affilato che ricorda quello di Vittorio Gassman. Nello sguardo, il disincanto di chi nella vita ha avuto mille possibilità e le ha smarrite. Ma le ha anche ritrovate, grazie ad un incontro, ad un’amicizia. Grazie alla solidarietà, che è più forte delle solitudini e degli egoismi. E che sa ridare un senso anche a vite deragliate.

Un’esistenza sofferta, quella di Roberto, che lo ha portato a vivere di espedienti e dormire in posti di fortuna. L’evento tragico che ha rotto l’equilibrio di un percorso comunque non facile è stato la morte della compagna. Insieme a lei se n’è andato anche il progetto di futuro. Dunque, non aveva più senso lottare. Così, Roberto è diventato un «senza fissa dimora» e lo sarebbe ancora oggi se in un giorno qualunque della sua vita alla deriva non avesse conosciuto Antonio.

«L’ho incontrato davanti all’Esselunga di via Milano e mi ha detto che, insieme ad altre persone, viveva in una casa abbandonata a Villa Glori - racconta Antonio, professionista bresciano -. Andavo spesso a trovarli, portavo loro la spesa e qualche volta li invitavo a casa mia». Così, senza una vera ragione, perché non ci sono ragioni che spieghino il nascere di un’amicizia, sono diventati amici. Antonio nel frattempo si era separato ed era andato a vivere da solo. «Ci siamo frequentati per circa un anno, poi ci siamo persi di vista, ognuno ad inseguire i suoi problemi» raccontano.

Non si diventa «clochard» all’improvviso. I passaggi sono molti e quello di finire in mezzo ad una strada rappresenta l’ultima stazione di un viaggio con un pesante bagaglio in cui sono stipati dolore e disagio. «Nell’ottobre 2010 mi sono trovato all’improvviso senza lavoro e senza casa. La mia compagna di vita era morta da poco ed anche i miei genitori non c’erano più. In passato ho lavorato per anni alla cartiera di Toscolano, poi nell’edilizia. Ma negli ultimi tempi, di lavoro non ce n’era più. Non c’era più spazio per me sui cantieri. Così, ho lasciato il lago di Garda, dove sono nato e sono vissuto fino a tre anni fa, per venire a Brescia» racconta Roberto, che oggi ha 57 anni.

«Ho dormito in Castello insieme al mio cagnolino Rex, poi ho incontrato una persona che mi ha convinto a rivolgermi ai servizi della Rete - continua -. Per un anno ho dormito sul primo binario della stazione ferroviaria, insieme a decine di altre persone che, come me, non avevano un tetto sotto il quale rifugiarsi. Per il cibo andavamo a Chiari, perché c’è una mensa gestita da volontari in cui si mangia molto bene».

Fino all’incontro con Antonio, che ha cambiato la vita ad entrambi. «Ci siamo rivisti l’estate scorsa dopo un anno ed abbiamo ripreso a frequentarci. In settembre ho ospitato a casa mia Roberto ed un’altra persona, anch’essa senza fissa dimora - spiega Antonio -. La convivenza non è sempre stata facile, soprattutto nelle fasi iniziali: una sera sono arrivati entrambi ubriachi e li ho cacciati. Ero veramente arrabbiato. Poi, con Roberto ci siamo riappacificati e dall’ottobre scorso lui si è fermato da me: la casa è sufficientemente grande e riusciamo ad avere una sostanziale autonomia».

Poi aggiunge: «Ci diamo una mano a condurre le nostre vite, evitando che scivolino di nuovo nella solitudine». Roberto ha ritrovato l’equilibrio che si era rotto a causa del lutto e della disoccupazione e, con esso, anche alcuni lavoretti.

Antonio è riuscito a trasmettere all’amico la passione per la montagna e per l’alpinismo. «L’attrezzatura l’abbiamo in parte acquistata e in parte ereditata da mio figlio adolescente» aggiunge, con entusiasmo. Roberto abbassa lo sguardo, sorridendo con gli occhi. «Ci diamo una mano», è la frase che ci echeggia nella mente mentre i due amici si allontanano. Basterebbe poco, a volte.

Anna Della Moretta

 

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