Pietra, viaggio nel gigante morto che abita la città

Duecentomila metri quadrati di terreno e capannoni vuoti e in degrado. Uno scenario surreale e suggestivo.
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La lepre passa veloce fra sterpaglie, detriti, pietre e rifiuti, prima di sparire chissà dove in questo pianeta surreale. Eppure, poche decine di metri alle spalle scorre il traffico sostenuto di via Orzinuovi e via Dalmazia. Ma questa è una città morta nella città dei vivi, potrebbe sembrare l’immenso set cinematografico allestito per un sequel di Blade Runner. Invece è la Pietra, la più grande cattedrale abbandonata della siderurgia bresciana, il segno di una grandezza passata. Venti ettari di superficie, 120mila metri quadrati di terreno e 75mila di capannoni, una sfilza di tetti fra via Dalmazia e via Varese, ancora senza futuro. 

Lepre e piccioni a parte, non c’è anima viva. A centinaia, comunque, i segni della presenza umana. La palazzina degli uffici è un ricettacolo di sporcizia: scarpe, lattine, bottiglie rotte, scatole di cibo, pane secco... Dai rami dell’albero a ridosso delle finestre (rigorosamente senza vetri) pendono alcuni indumenti, una bici senza ruote giace abbandonata su un terrazzo. Scritte imbrattano quelli che dovevano essere gli spogliatoi e i servizi. La torre dell’acquedotto svetta su un deserto di macerie passate, presenti e venture. Un capannone scopre la trama delle travature in ferro: sembra una chiesa romanica ad una navata con il tetto a capanna. L’archeologia industriale può regalare un certo fascino.

Una considerazione tanto più vera per il blocco della Pietra celato dai fabbricati di via Orzinuovi e che si estende fino a via Varese. Era il tubificio: una sola, immensa officina lunga centinaia di metri, l’ultima parte dell’azienda a chiudere nel dicembre del 2005. Roba da pelle d’oca. Uno spazio spettrale, modulato da vasche di lavorazione, canalette d’acqua, travi del carro ponte, che conserva un’anima: niente macchinari, ma non stupirebbe vedere gli operai prendere posto dopo la sirena. C’è perfino quella che sembra un’installazione artistica: pannelli che scendono dal soffitto coperti da iscrizioni e disegni. Il tutto, osservato con distacco, parrebbe un immenso spazio museale. La realtà è naturalmente diversa. Il futuro di quest’area è scritto negli astri, ma il passato parla di fatica e sudore. Di una Brescia capitale industriale, con i relativi vantaggi e svantaggi. Comunque, di una città con una vocazione. Chi sa dire, invece, quale sia oggi la vocazione di Brescia?

Enrico Mirani

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