La vera storia del Vagabond

Il bresciano Mario «Majo» Rossi disegnò con un amico l'adesivo diventato un’icona degli anni ’80. Ora lavora per Bonelli
  • Le diverse versioni del Vagabond di Mario Rossi
    Le diverse versioni del Vagabond di Mario Rossi
  • Le diverse versioni del Vagabond di Mario Rossi
    Le diverse versioni del Vagabond di Mario Rossi
  • Le diverse versioni del Vagabond di Mario Rossi
    Le diverse versioni del Vagabond di Mario Rossi
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Ha viaggiato ovunque e con ogni mezzo. Lo si vedeva nei parchetti di periferia o lungo le vie del centro, nei parcheggi delle discoteche o fuori da un concerto, sulle strade dell’anonima provincia italiana o in cammino attraverso l’Europa. E si spostava in Renault 4, a bordo di una Vespa e sulla 2 Cavalli, ma non disdegnava nemmeno il piccolo Ciao. L’importante era non rimanere fermo troppo a lungo, per mantenere il senso di un perenne peregrinare. Senza ritorno e senza una vera direzione. E alla fine si è imposto tra le icone popolari di un’epoca.

Era una vita in viaggio quella del Vagabond, il capellone scalzo con chitarra e sacco a pelo che negli anni ’80 spopolava su adesivi, magliette o ciondoli. Un cammino avvolto dal mistero, iniziato oltre trent’anni fa a Brescia nell’aula del liceo artistico Foppa. I due autori, rimasti sconosciuti fino ad ora, non ci hanno guadagnato una lira, ma il personaggio ha avuto una diffusione dal basso in tutta Italia e oltre.

«Eravamo a lezione di disegno, credo nel 1980 - ricorda Mario Rossi, in arte Majo, oggi disegnatore di fumetti per la Bonelli, e non solo -. Il mio amico e compagno di classe Mauro Gilardoni disegnò il ragazzo di spalle mentre camminava. Aveva in mente quell’idea di libertà allora molto in voga». Il risultato finale non soddisfa «Gil» ed è quindi la mano di Mario Rossi, uno col nome meno da ribelle vagabondo che si possa immaginare, a cristallizzare la figura.

 

  • Mario Rossi in posa per un suo disegno
    Mario Rossi in posa per un suo disegno
  • Mario Rossi in posa per un suo disegno
    Mario Rossi in posa per un suo disegno

 

«Gil ne fece un primo adesivo per la sua Vespa, il disegno piacque al gestore del Casbah, un negozio di vestiti usati, che ne chiese alcune copie». I ragazzi, all’epoca in quarta superiore, ne realizzano una ventina, tutte a mano. Ma il loro costo è troppo alto per i clienti del negozio e il cammino del Vagabond sembra essere già finito.

«Qualche tempo dopo, però, iniziamo a vedere alcuni adesivi in giro per la città con una copia del nostro personaggio - prosegue Majo -. Chiediamo spiegazioni al Casbah, ma ormai non c’era più niente da fare. Eravamo troppo giovani e inesperti per farci valere». I due si rivolgono anche ad un avvocato: una mossa inutile, dato che non c’era copyright a proteggere la loro opera. E nel frattempo inizia il percorso del Vagabond, dalle Dyane degli sballoni alle maglie nelle discoteche della Riviera Romagnola.

«Nell’84 andai in Spagna in vacanza e lo vidi su un’auto», racconta Rossi. Orgoglio e rammarico si mescolano, i due amici rilanciano con una seconda serie di adesivi tratti dall’originale, ma il disegno ormai è già andato avanti per la sua strada. Con variazioni anonime che vedono il capellone seduto con la chitarra o - sacrilegio! - visto frontalmente.

Quell’icona si perde poi lungo la strada all’inizio degli anni Novanta e torna ora nel revival di chi ricorda gli anni della propria gioventù. Ma il cammino di Rossi, quello sì, è andato avanti nel mondo del fumetto: tra i componenti del gruppo Hammer, la serie fantascientifica nata a Brescia, ha continuato a lavorare muovendosi tra il bonelliano Dampyr e la serie francese Josse Beauregard, fino ad arrivare al personaggio più noto in assoluto nel mondo del fumetto italiano, Tex, sempre della Bonelli. Nel 2018 è atteso un Texone interamente disegnato da Majo, al termine di un lavoro durato più di tre anni. «Sono molto lento», ammette il fumettista, che vive immerso nei suoi disegni e non ha nemmeno il cellulare. In realtà non c’è alcuna fretta, lo diceva già quell’adesivo.

 

 

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