Carmine: se la movida trasforma un quartiere

Ogni week end pienone nei locali vecchi e nuovi fra arte, investimenti e divertimento sostenibile.
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Istantanea, esterno sera, venerdì. Una strada affollata di città, poco più di un vicolo e poco meno di un corso. Se fosse Brescia scommetteresti che è piazza Arnaldo, fulcro tradizionale della movida cittadina. E infatti è proprio Brescia, solo qualche chilometro più in là.

«Mamma esco, stasera vado al Carmine». Occhi sgranati e sequela di raccomandazioni, come quando da piccoli si andava al mercato e la stretta si faceva più salda verso il fondo di via San Faustino. «Guarda che giù di là è pericoloso». Macché. Lo dicevano del Greenwich Village le signore di New York; mentre le nannies di Londra coi passeggini, ancora, girano al largo da Brick Lane.

Senza azzardare paragoni, sono luoghi fatti della stessa sostanza: quartieri di immigrati e artisti, di porte screpolate e murales, di concerti live e gallerie, vecchi palazzi riattati a loft - fra il kebabbaro e il china market - e affittati da giovani con tele e chitarre.
Sta succedendo anche qui, nel famigerato quadrilatero mutevole che insiste fra corso Mameli, via San Faustino, via Porta Pile e via delle Grazie.

Per anni considerato spina nel fianco di questa bella Brescia di salotti buoni e caffè, oggetto di tentativi di riqualificazione globale e progetti mirati alla sicurezza, al decoro, all'integrazione e all'educazione. Che, di fatto, hanno contribuito a preparare il terreno a un'invasione di coppie, studenti, professionisti e artisti, che qui hanno deciso di vivere, lavorare, o trascorrere epiche serate. È un movimento lento. Un'ondata che sta montando da tempo e che è ora arrivata ad investire in pieno questa zona della città.

L'istantanea d'apertura è uno scatto rubato un venerdì sera qualunque degli ultimi mesi in via Fratelli Bandiera. Al civico 3, lo scorso novembre, ha aperto il «Carmen Town», un ristorante vocato alla musica live che funziona benissimo anche come locale notturno. Ogni fine settimana si registra il pienone. Una media di 500 persone, che arrivano per ascoltare i concerti o cenare e che affollano la via in un asse della movida che coinvolge anche l'«Osteria della Croce Bianca», aperta nel 2006. Qui dal Desi - come dicono tutti - la settimana comincia il martedì, con un aperitivo mangiareccio a prezzi contenuti, il giovedì è per gli aficionados dell'hamburger e il week end è per i tiratardi.

L'epicentro è espanso e allunga i tentacoli dallo storico «Crivello», osteria per antonomasia, giù fino alla «Galleria dell'Ombra», per risalire su fino al «Mentelocale», dove è ormai difficile trovare un posto a sedere per cena. Lì accanto è arrivata perfino la «globalizzazione» del piatto nazional-bresciano: con un locale tutto dedicato alla polenta che spopola soprattutto fra i giovanissimi.

Fra il viavai e il torna indietro i residenti a volte storcono il naso, parte qualche chiamata alla Municipale per segnalare schiamazzi e assembramenti e qualcuno è già incappato in una spiacevole multa. Qui come altrove le lamentele dei residenti sono la «condanna» di questa Brescia che cerca di fare Bologna ma ha orari da Zurigo.

Il quartiere sta cambiando faccia - ma non la sua identità - e questo «nuovo» Carmine rappresenta la scommessa di chi ha voglia di investire pure in questo periodo di magra.
«Elda Pirleria», locale vecchio-nuovo in via Delle Battaglie, ha un paio di settimane di vita appena. Nicola combatte la crisi impiattando razioni di fett'unta e la risposta dei clienti, col tutto esaurito quasi ogni sera, sta dando loro ragione.

L'«Osteria della Contrada» è invece un progetto in costruzione - anche nel nome -: un ristorante che potrebbe aprire presto i battenti ad opera di un giovane bresciano che si è fatto le ossa dietro i banconi dei bar del centro.
È così che pirlo, casoncelli e bruschette convivono col kebab, in un gemellaggio dello spiedo che riempie l'aria di odori che sanno di salvia e cumino.

Sono forse piccoli esempi, che configurano una primavera del Carmine che è fatta anche e soprattutto di pedalate in biciclette e di auto lasciate a casa, o in piazza Vittoria, per muoversi a piedi attraverso la spina dorsale della città. In un collegamento vissuto e camminato da via Trieste a Porta Pile. È in questo modo che le strade prendono vita e che la mutata fisionomia di un quartiere può arrivare a trasformare quella di un'intera città.
Ilaria Rossi

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