Alessandro Dotto, 31 anni, pilota

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Un Tornado che si staglia nel cielo, in controluce, sopra uno strato di nuvole: c’è questa fotografia ad aprire il profilo Facebook di Alessandro Dotto, uno dei quattro piloti coinvolti nello schianto nei cieli delle Marche. Era stato lui a scattarla, dall’abitacolo di un aereo che gli sfrecciava accanto, «perchè a volte il momento è proprio perfetto e non si può non immortalare» aveva scritto.

Alessandro, 31 anni, originario di San Giusto Canavese, un grappolo di case nelle campagne a una ventina di chilometri da Torino, portava dentro di sè la passione del volo fin da bambino. «Ce l’aveva nel sangue», dice la zia. Da piccolo giocava in continuazione con gli aeroplanini di carta e modellini vari. Lo fanno in molti, come tanti bambini. Ma poi vide «Top Gun», il film con Tom Cruise. E per lui fu come una folgorazione, non ci fu verso di lasciarlo a terra. «A 15 anni - raccontano i conoscenti di San Giusto Canavese - aveva insistito per andare in una scuola preparatoria. Mamma Ninetta e papà Lino, in un primo tempo, si erano opposti. Poi si arresero. Accettarono. E adesso erano orgogliosi di lui». Fu ammesso all’accademia militare di Pozzuoli, dove nel 2003 frequentò il corso Drago V. Pochi mesi fa era stato promosso capitano. E ne andava fiero. A San Giusto Canavese, il giovane militare era una piccola celebrità. Nella pasticceria-caffetteria dei signori Dotto tutti lo conoscevano. E tutti dicono che era «un tipo a posto, senza grilli per la testa, senza pose da Rambo, sempre pronto a scambiare due chiacchiere».

Alessandro non viveva più a San Giusto da anni. Abitava nel Bresciano, nelle pertinenze della base di Ghedi, ma tornava tutte le volte che poteva per restare in famiglia. I suoi genitori gestiscono dal 1999 il bar caffetteria «Dolce Luna» nel centro del paese. La mamma è attiva nella locale associazione di commercianti. Il fratello, 20 anni, ha preso la maturità scientifica. E proprio per festeggiarne il compleanno, domenica scorsa, Alessandro aveva preso una licenza. «Nonostante fosse via da tanti anni - raccontano gli amici - non si era mai dimenticato di noi. Quando era a San Giusto bastava fare un salto al bar e lo trovavi lì, allegro e sorridente». Non si dimenticava del suo paese nemmeno quelle volte in cui gli capitava di sfrecciarci sopra a 340 metri al secondo. «Alzavamo gli occhi al cielo e capivamo subito che era lui perchè l’aereo faceva delle piccole manovre. Era il suo modo di salutarci. E non avevamo mai paura. Nemmeno se si avvicinava un pò più del solito». 

 

 

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