Cultura

Crosby, Stills & Nash: «Brescia, arriviamo»

Intervista a David Crosby, del leggendario trio che sarà a Brescia in luglio «La musica mi ha attratto e ipnotizzato».
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Citi Woodstock e sai di parlare di qualcosa che chiunque conosce. Che porta alla mente tempi lontani, ritagli di immagini sbiadite, ingiallite, polverose. E verrebbe da pensare che nessuno - o quasi - degli artisti che salirono su quel palco sia ancora sulle scene. E invece...

David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash sigillarono proprio a Woodstock un’unione oggi più che quarantennale. Legame che li spinge tuttora in giro per il globo e che li vedrà approdare a Brescia il 17 luglio. In vista di questo appuntamento abbiamo potuto intervistare Crosby.

David: in termini musicali cosa sta facendo, e di cosa si è occupato negli ultimi mesi?
Principalmente del mio nuovo album da solista. Che, posso dire, è praticamente terminato, mancano giusto le ultime rifiniture.

Che disco sarà?
Beh (ride), mi è davvero difficile definirlo, quanto meno se mi si chiede di circoscriverlo a un genere. Posso dire che, salvo variazioni, conterrà undici brani, ma non saprei indicare con certezza il tipo di musica. So però che è ottima musica cantautorale: ottima sotto il punto di vista sia della scrittura sia degli arrangiamenti e dei testi. E sono convinto che farà impazzire tutti gli amanti del sound di «una volta».

Con i suoi «colleghi» Stills e Nash, invece, che state facendo?
Abbiamo recentemente concluso il tour in Florida e negli Stati Uniti occidentali. Adesso siamo pronti per venire da voi: Germania, Francia, Olanda, Italia...

Era già stato a Brescia?
Sì, è una città in cui sono stato e che ricordo. L’ho visitata diverse volte, traendone sempre la medesima impressione: una piccola, incantevole città.

Ai tempi di Woodstock lei faceva parte dei Byrds, band di successo. Come mai ha poi iniziato a concentrarsi sul progetto con Stills, Nash e occasionalmente Neil Young?
È semplice: i Byrds insistevano perché me ne andassi. Non ho potuto far altro che raccogliere il loro invito e mettermi a cercare nuove persone con cui suonare. Gente brava, appassionata, intelligente.

Con la quale continua a esibirsi e riscuotere l’apprezzamento del pubblico.. .
Già. Del resto la musica mi catturò molti anni fa. Non utilizzo casualmente il termine catturato, perché la musica mi ha attratto e ipnotizzato come se fossi innamorato, mi ha coinvolto sin nel profondo. Ed è un vincolo che persiste immutato.

Ognuno conserva memoria di Woodstock per motivi diversi: chi per la rilevanza sociale, chi per la musica... Qual è la testimonianza di chi su quel palco è salito?
(Ride) Woodstock è stato un grande, grandissimo festival, mai dimenticato nei decenni successivi. Non posso dire di ricordare granché, non sarei sincero. Ma da lì è passata parte della musica migliore che abbia mai sentito, e che poi, infatti, è rimasta nella storia.

C’è qualche band o artista di oggi che stima particolarmente?
Sì, qualcuno c’è. Un paio, in particolare, sono secondo me - allo stato attuale - i migliori cantautori nel mondo. Mi riferisco a Marc Cohn (cantautore statunitense classe 1959 noto per il brano «Walking in Memphis», ndr) e a Shawn Colvin, una cantautrice, sempre americana. E ce n’è un altro, stavolta un giovane, che ho incontrato a un festival ed è a dir poco straordinario: Marcus Eaton (artista poco più che trentenne originario dell’Idaho, in concerto proprio nelle scorse settimane in Italia, ndr). È geniale, sia quando suona sia quando canta.
Raffaella Mora

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