Loveparade, strage ancora senza colpevoli

Mercoledì a Duisburg il ricordo delle 21 vittime, tra cui la bresciana Giulia Minola. Indagini ancora aperte.
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Perché è morta Giulia Minola, 21 anni e un sorriso consegnato alle fotografie delle cronache di una tragedia? Perché assieme a lei, il 24 luglio del 2010, altre venti persone rimasero uccise nella folla della Loveparade, il raduno techno allestito a Duisburg?

A tre anni di distanza da quel pomeriggio senza senso le domande sulle responsabilità della strage non hanno ancora una risposta, con le indagini che non sono ancora chiuse dopo 3.500 testimoni ascoltati, 963 ore di materiale video raccolto e atti racchiusi in 30mila pagine, a cui di recente gli avvocati difensori delle famiglie delle vittime e dei feriti hanno avuto accesso.

Mercoledì la città tedesca ricorderà le ventuno vittime e le oltre 500 persone che ancora adesso portano i segni di quella giornata. Una cerimonia pubblica, con le autorità civili e religiose, e una privata riservata a familiari, tra cui Nadia Zanacchi, madre della bresciana Giulia Minola, e sopravvissuti. La parte più intima della celebrazione avverrà nel memoriale realizzato dove c’erano la rampa e il tunnel in cui si formò la calca mortale.

Lì dove l’approssimazione nella concessione dei permessi, la disorganizzazione, le gravi mancanze nelle misure di sicurezza e l’assenza di un vero piano d’emergenza trasformarono la festa in un incubo.

L’area venne scelta dagli organizzatori perché ampia e abbandonata. Ospitava la vecchia stazione dismessa, mentre ora è al centro di un grande progetto immobiliare che rischiava di cancellare del tutto i segni della tragedia. Le proteste dei familiari e l’indignazione di una parte dei cittadini di Duisburg ha fatto sì che il proprietario mantenesse comunque una piccola parte destinata al ricordo di quella che è diventata l’ultima Loveparade.

Proprio mercoledì il memoriale verrà aperto per la prima volta. I luoghi simbolici, pur nella loro importanza, non valgono nulla in confronto al bisogno che venga fatta giustizia, sempre più pressante in chi è rimasto. Per il momento ci sono quindici indagati, tra rappresentanti del Comune, dell’organizzazione (la Lopavent) e della polizia. Ciò che lascia perplessi è il fatto che tra questi non vi siano i vertici, ma solo funzionari intermedi. Mancano ad esempio il titolare della Lopavent, Rainer Schaller, e l’ex sindaco di Duisburg, Adolf Sauerland, nel frattempo cacciato dai cittadini attraverso un referendum e sostituito da Sören Link.

Com’è possibile che le colpe ricadano su figure tutto sommato di secondo piano, mentre chi doveva prendere decisioni fondamentali resta fuori dalle indagini? Questo è uno dei paradossi che fa sorgere due timori tra familiari e sopravvissuti: da un lato, che le responsabilità vengano accertate in maniera parziale; dall’altro, che la catena di errori sia talmente lunga che, alla fine, sia troppo difficile imputare ai singoli determinati atti che hanno portato al disastro. Vanificando, questa è la paura più grossa, la legittima speranza che si arrivi finalmente ad un processo.
Emanuele Galesi
e.galesi@giornaledibrescia.it

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