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In Boemia a studiar le linci

Una laurea in biologia e una passione per i grandi felini. Sono questi gli ingredienti valsi a Elisa Belotti, giovane biologa iseana, la chiave per aprire le porte dell’immenso parco naturalistico Sumava a cavallo fra la Repubblica Ceca e la Germania, nel cuore della Selva Boema
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Una laurea in biologia e una passione per i grandi felini. Sono questi gli ingredienti valsi a Elisa Belotti, giovane biologa iseana, la chiave per aprire le porte dell’immenso parco naturalistico Sumava a cavallo fra la Repubblica Ceca e la Germania, nel cuore della Selva Boema. Dal 2009 Elisa ha abbandonato gli scorci sebini per trasferirsi a Kasperske Hory, piccolo centro con poco più di mille abitanti. Lì, nel cuore della regione di Plzen (a circa 150 km da Praga) la trentenne bresciana lavora e contribuisce ad un progetto di ricerca scientifica sulle linci.

«Ho sempre amato i grandi felini. E i grandi felini in Europa significano lince- racconta Elisa-. È una specie protetta: gli esemplari sono pochi, basti pensare che nei 700 km quadrati del parco di Sumava ne esisteranno forse una decina. Tutto è iniziato dalla mia tesi di laurea per l’Università di Parma che ho svolto da qui, studiando il comportamento e i movimenti di questi grandi animali. Da allora non e ne sono più andata. Iniziando con contratti di collaborazione e mansioni part time, sono passata da poco ad essere una dei 200 dipendenti del parco».

 

 

Il lavoro di Elisa è quello dei ricercatori sul campo: le fasi operative consistono nel dotare i grandi felini di collari gps e studiare i loro movimenti da computer, cercando di studiarne i comportamenti, l’attività di caccia, le fasi della riproduzione e anche l’impatto sulle prede, i caprioli. Poi c’è l’attività puramente scientifica: analisi dei dati, report e stesura di pubblicazioni per riviste settoriali. «In cinque anni ho visto dal vivo solo una lince: ma è normale, anzi, mi ritengo fortunata- spiega la biologa - ho colleghi che non le hanno mai nemmeno avvistate. D’altronde il parco è enorme, fruibile per la maggior parte da turisti e inserito in una regione composta da una costellazione di piccoli villaggi. Quando dal computer vediamo che gli animali si avvicinano prendiamo la macchina e corriamo. Diciamo che, per ovviare a questa loro scarsa propensione a farsi notare, abbiamo installato anche apparecchi per il foto monitoraggio: è facile riconoscerle. Le loro macchie sono come il nostro dna, uniche».

Il lavoro nel parco coincide con la nuova vita della biologa bresciana che si è trasferita in un piccolo appartamento all’interno di una delle sedi della grande area boschiva. «Il parco è unico e trasuda storia - racconta la trentenne iseana -, quest’area faceva infatti parte della cortina di ferro. La popolazione locale risente ancora della grande violenza di quel periodo, però, dopo un po’ di diffidenza iniziale, gli abitanti ti aiutano col cuore. Purtroppo ora ci sono parecchi speculatori edilizi che hanno messo gli occhi su angoli di natura incontaminata del parco. Spero fortemente vengano osteggiati». E di tornare in Italia, nel Sebino, per ora la biologa iseana non vuole sentir parlare: «Certo, mi manca molto il sole, qui c’è la nebbia perfino a Ferragosto, e l’olio del lago. Ma quando torno ne faccio scorta e porto ad amici e parenti le birre locali». 

Sara Venchiarutti

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