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Auto storiche, approvato un Odg per escluderle dal calcolo del reddito presunto

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Potrebbe essere un passaggio importante per gli appassionati di auto e moto storiche quanto avvenuto la settimana scorsa a Roma. Il Consiglio dei Ministri, seppur il premier Mario Monti è dimissionario, ha infatti approvato sabato 24 dicembre un importante ordine del giorno a firma del deputato del Pdl, Enrico Pianetta.

Noi avevamo avanzato all’on. Daniele Molgora di proporre lo stesso emendamento a favore del collezionismo e degli appassionati di mezzi storici e dal Presidente della Provincia di Brescia, già sottosegretario all’Economia, avevamo ottenuto l’impegno di portare a Roma il dibattito sul tema anche attraverso un emendamento nelle leggi di stabilità finanziaria del Paese.

L’iniziativa del deputato del Pdl è dunque giunta in parallelo a quanto avevamo attivato anche grazie alla disponibilità "trasversale" di altri deputati e senatori che guardano con occhio positivo all’impegno dei collezionisti.

Nella sua proposta al Consiglio dei ministri il deputato scrive come «Il veicolo di interesse storico e collezionistico, in quanto non può svolgere funzioni legate all’attività professionale del proprietario, non deve entrare a far parte dei veicoli previsti dal redditometro».

Si tratta in sostanza di introdurre una norma precisa che evita quanto sino ad oggi accaduto, ovvero l’inserimento da parte dell’Agenzia delle Entrate dei veicoli storici e di interesse collezionistico nel conteggio che porta al reddito presunto e che si attiva nel caso in cui gli uffici constatino una differenza tra quanto dichiarato e quanto presunto superiore al 20 per cento.

L’ordine del giorno, netto e preciso, dunque che tiene conto di come «il patrimonio tecnico e culturale rappresentato dai veicoli storici conservati, custoditi, controllati e usati per la loro specifica funzione va considerato un bene che lo Stato deve salvaguardare promuovendone lo sviluppo a favore delle future generazioni» come ha evidenziato il deputato.

«L’auto storica non è, per chi la possiede, un abituale mezzo di trasporto - si ricorda inoltre nell’odg - ma di mero gusto collezionistico, e non rappresenta quindi un bene strumentale».

Ma ecco nello specifico l’ordine del giorno:

 “Premesso che:

- Il veicolo di interesse storico e collezionistico è portatore di cultura e rappresenta un patrimonio frutto dell’ingegno dell’uomo.
- I veicoli storici rappresentano un patrimonio che deve essere salvaguardato e valorizzato sia per gli aspetti tecnici che per quelli culturali e sociali in quanto coinvolge centinaia di migliaia di collezionisti.
- Il patrimonio rappresentato dai veicoli storici conservati, custoditi, controllati e usati per la loro specifica funzione va considerato un bene che lo stato deve salvaguardare promovendone lo sviluppo a favore delle future generazioni.
- L’auto storica non è, per chi la possiede, un abituale mezzo di trasporto, ma di mero gusto collezionistico e non rappresenta quindi un bene strumentale.
- Il veicolo storico non può e non deve soddisfare necessità che esulino dalla mera affezione collezionistica e di conseguenza non può essere considerato significativo nella determinazione reddituale del proprietario.
- È palese ed evidente il timore dei collezionisti relativamente agli aspetti fiscali in ordine ai parametri attinenti i valori di acquisto e ai costi di manutenzione. Si impegna il Governo:
 
- A considerare che il veicolo di interesse storico e collezionistico, in quanto non può svolgere funzioni legate all’attività professionale del proprietario, ma costituisce il soddisfacimento di una passione collezionista, non deve entrare a far parte dei veicoli previsti dal redditometro.”
 

L’inserimento dei veicoli storici nell’applicazione del Redditometro è indotto dalla norma del D.L. 78/ (convertito in legge 122/2010) che prevede il principio della determinazione sintetica del reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualunque genere sostenute nel corso del periodo di imposta. Per i mezzi storici l’Agenzia delle Entrate spesso non tiene conto, nello stabilire la capacità contributiva del cittadino, che questi rientrano nelle more dell’articolo 60 Cds, ovvero non si tratta di veicoli ordinari ma di «veicoli atipici». Ne deriva che i costi parametrati per cavalli per le normali vetture non sono allineabili ai redditi dei possessori di mezzi storici. Il reddito presunto è infatti il seguente per cavalli fiscali: auto sino 12 hp: 1.909,47 ; da 13 a 15 hp: 1.909,47 più 188,77 per ogni hp eccedente; da 16 a 20 hp: 2.476,59 più 341,24 per ogni hp eccedente;da 21 a 24 hp: 4.182,77 più 244,43 per ogni hp eccedente; oltre i 24 h: 5.160,50 più 251,39 per ogni hp eccedente. Gli ammontari risultanti dall’applicazione dei coefficienti agli importi indicati per gli autoveicoli sono ridotti del 10% per anno, fino ad un massimo del 40%, a decorrere dal terzo anno dell’immatricolazione.

Poco importa se la Ferrari 308 in garage l’ho pagata 35mila euro (ossia il suo valore commerciale e reale). Secondo il calcolo del redditometro non posso mantenerla con i 10mila euro denunciati, ma ne servono 50mila. Peccato che il bollo sia meno di 50 euro all’anno, al pari dell’assicurazione che non supera i 150 euro nella peggiore delle ipotesi.

Durante il convegno organizzato a novembre dall’Asi a Roma, in materia di mezzi storici e fiscalità, Gianni Marongiu, ordinario di diritto tributario dell’Università di Genova ha affermato che nella stesura della tabella dei beni da redditometro "il legislatore ha inteso riferirsi ad autoveicoli che siano in grado di soddisfare le differenziate esigenze della vita di affari, ma non un mero gusto collezionistico".

L’auto storica "non è per chi la possiede, un abituale mezzo di trasporto". È evidente, di conseguenza, che non sia inimmaginabile "l’utilizzazione, quale bene strumentale, di un mezzo storico".

Sulla base di queste ragionate osservazioni sembra si possa concludere che l’auto storica di per sé non sia un bene rilevante ai fini del redditometro.

Ma ciò non significa che essa, di volta in volta, non possa assumere un qualche rilievo ai fini dell’accertamento sintetico. Tra questi casi si individuano infatti tutti i tipi di investimento, immobiliare, mobiliare e finanziario. Fra gli investimenti mobiliari la giurisprudenza dà da tempo rilievo all’acquisto di beni mobili registrati, siano essi aeromobili, autoveicoli o imbarcazioni.

E così, ad esempio, se in un anno chi dichiara un reddito medio di 50mila euro acquista un ‘auto storica, del valore magari anche oltre i centomila euro, l’acquisto di tale mezzo potrà legittimare da parte delle Entrate l’apertura di una istruttoria per chiedersi dove il soggetto abbia tratto le disponibilità necessarie all’acquisto in questione.

Tuttavia il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate è diverso e ben lo sa chi si è visto recapitare gli avvisi di accertamento delle posizioni fiscali del 2007 dall’Agenzia delle Entrate. L’Intendenza di Finanza non fa che applicare una legge. Tuttavia la sorpresa per il contribuente spesso è pesante. Questo perché per il calcolo del redditometro la macchina incide nella ricostruzione del reddito minimo presunto o di quello accertabile.
Del resto l’Agenzia vede nel possesso delle auto un fattore determinate del reddito.

Nel caso di auto storiche l’Agenzie delle entrate indica che, con sentenza 1.294 del 2007 la Cassazione ha stabilito come «tali beni devono essere considerati nella determinazione del reddito sinteticamente determinato in quanto comportano rilevanti costi per la manutenzione e sostituzione di componenti soggetti ad usura in virtù del fatto che esiste un particolare mercato per tali veicoli». Una cosa che fa accapponare la pelle.

Ma leggiamo l’intera sentenza di riferimento della Cassazione citata negli atti di accertamento: le considerazioni svolte saranno eccellenti in punta di diritto, ma in termini di competenza specifica lasciano alquanto perplessi:

Cassazione civile, sez. tributaria, 22 gennaio 2007, n. 1294

1. L’Ufficio II.DD. di Verona notificava alla Signora O. G. un avviso di accertamento con il quale determinava il reddito, ai fini applicativi dell’Irpef, per l’anno 1987, in via sintetica, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38. Tale maggior reddito era determinato, secondo l’Amministrazione fiscale, anche per il possesso di quattro automobili, di cui una d’epoca (una Jaguar MK2 di CF 23, immatricolata nell’anno 1963).
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento.

2. La C.T.P. di Verona accoglieva parzialmente il ricorso e riduceva il maggior reddito accertato nella misura del 40%, in considerazione del fatto che delle automobili possedute una era risalente all’anno 1963 (auto storica in base all’immatricolazione).
3. Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello, sostenendo che le auto d’epoca andavano escluse dalla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, e che al mantenimento delle altre auto avrebbe provveduto, nella misura del 70% delle spese, il coniuge.

La C.T.R., considerate irrilevanti le altre questioni proposte con il gravame, respingeva anche quella relativa al possesso delle auto storiche, affermando che il mantenimento di tali beni è sicuro indice di capacità contributiva, atteso che esse comporterebbero, notoriamente, spese a volte anche ingenti.
4. La signora O.G. ricorre contro la sentenza di appello con quattro motivi. Ministero delle Finanze ed Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Diritto
1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione ed errata interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.M. 10 settembre 1992) la contribuente deduce che la Jaguar del 1963 avrebbe natura di auto storica e andrebbe esclusa dall’accertamento sintetico del reddito in quanto non posseduta per soddisfare le esigenze di circolazione. Lo stesso Secit, in un suo parere, su istanza dell’Asi (AutomobilClub Storico Italiano), avrebbe escluso le auto e moto d’interesse storico e collezionistico, ai sensi del D.L. n. 285 del 1992, art. 60, dall’applicazione del

redditometro. Queste, infatti, non sarebbero idonee a soddisfare le esigenze della circolazione e quindi non farebbero sorgere spese quotidiane, relative alla loro utilizzazione. Inoltre, nella tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, il riferimento alle automobili andrebbe riferito solo a quelle in circolazione effettiva.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione ed errata interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1922, artt. 72 e 32), la contribuente deduce che, in primo grado, l’Ufficio avrebbe modificato le conclusioni già rese chiedendo, in sostituzione dell’accoglimento del ricorso proposto dal contribuente quanto alla inclusione dell’autovettura storica tra i beni legittimanti la procedura di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, la sua integrale reiezione.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione ed errata interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1922, art. 23), la contribuente deduce che, in primo grado, l’Ufficio - con il primo atto di costituzione - avrebbe condiviso le conclusioni della contribuente e rideterminato la sua pretesa, senza tuttavia depositare ex novo la documentazione a suo sostegno.

1.2. Con il quarto motivo di ricorso (con il quale lamenta la omessa motivazione) la contribuente deduce che la sentenza non conterrebbe una motivazione sufficiente a spiegare perchè la disciplina di cui al D.P.R. n. 600, art. 38, potrebbe essere applicata anche alle auto storiche.
 

2. Il ricorso, che è infondato, deve essere respinto.

2.1. Preliminarmente, devono essere disattesi il secondo e terzo motivo di ricorso, che non risultano trattati nel corso del giudizio di appello e in ordine ai quali la ricorrente non ha adempiuto al dovere di autosufficienza che deve contraddistinguere il ricorso in tali casi.
Come ha più volte stabilito questa Corte (da ultimo, nella Sentenza n. 19328 del 2006), qualora una determinata questione, che implichi un accertamento in fatto (nella specie: accertamento di un fatto processuale verificatosi nel giudizio di primo grado), non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente per cassazione che richiami tale questione in sede di legittimità, per evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare la già avvenuta deduzione della questione innanzi al Giudice di appello ma, anche, di indicare in quale atto del giudizio precedente abbia a ciò provveduto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare la veridicità di tale asserzione.

Tale allegazione, però, nella specie, manca sia in riferimento al secondo che al terzo motivo di ricorso e, in applicazione di tale principio, la Corte deve dichiarare inammissibili le relative censure contenute nel ricorso per Cassazione.
2.2. I restanti motivi (primo e quarto) devono essere trattati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi.
Con essi si lamenta che nella sentenza di appello si è sostenuto che il possesso di auto storiche da parte del contribuente costituisca indice di capacità contributiva, ponendosi, ad opposta ratio decidendi, rispetto a quella fatta propria dai Giudici di merito, l’esenzione dal c.d. bollo automobilistico quale segnale di attenzione del legislatore verso beni che non sarebbero più adeguati alle attuali, e sempre più complesse, esigenze della vita quotidiana.
2.2.1. Come si è già detto, il motivo è infondato.

La sentenza di merito ha motivato, sinteticamente, ma correttamente, in base alla considerazione del fatto notorio secondo il quale "il mantenimento di tale bene, di particolare pregio, è sicuramente indice di capacità contributiva, in quanto ad esso impone, notoriamente, spese a volte anche ingenti".

Orbene, la contestazione del fatto notorio da parte della contribuente può formare oggetto di esame in Cassazione solo entro limiti determinati.
Infatti (Sentenza n. 18446 del 2005), se l’affermazione del Giudice di merito circa l’esistenza di un fatto notorio può essere censurata in sede di legittimità con il ricorso per Cassazione allorquando sia stata posta a base della decisione in forza di una

inesatta nozione del notorio, cioè erroneamente intendendo il fatto come conosciuto da un uomo di media cultura in un dato tempo e luogo, viceversa, allorchè si assuma che il fatto considerato come notorio dal Giudice di merito non risponde al vero, l’inveridicità del preteso fatto notorio può solo formare oggetto di revocazione a norma dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, ove ne ricorrano gli estremi e non invece di ricorso per Cassazione.
Va perciò, preliminarmente, sgombrato il terreno dalla censura di falsità del fatto notorio posto dalla Commissione a base della sua decisione.

Quanto all’aspetto secondo cui il notorio potrebbe essere sconosciuto dall’uomo medio, va qui fatto rilevare che non appare affatto esorbitante dalla cultura dell’uomo medio il dato secondo cui le auto c.d. storiche, formino oggetto di collezionismo e di particolare ricerca fra gli appassionati di tali beni; che esiste un particolare mercato per tali tipi di veicoli, oggetto di attenzione da parte dei suoi consumatori, e di riflesso anche relative quotazioni rilevabili da pubblicazioni di settore; e che, secondo l’id quod plerumque accidit, la manutenzione di veicoli ormai da tempo fuori produzione, comportino rilevanti costi, per tutte le necessità di manutenzione e sostituzione dei c.d. componenti soggetti a usura.
È per queste semplici ragioni che tali beni, a loro modo, secondo l’apprezzamento del Giudice di merito, incensurabile in questa sede perché immune da vizi logici e motivazionali, e il fatto notorio dallo stesso allegato nella motivazione, sono stati posti a base della capacità contributiva della contribuente, espressa in relazione al possesso di tali beni mobili registrati.


Nè il Giudice di merito ha violato alcuna norma di legge o di regolamento, intendendo il riferimento al possesso delle auto, contenuto nei c.d. Redditometri, anche a quelle c.d. storiche, atteso che alcuna precisazione o restrizione è contenuta in tali disposizione (né essa è stata allegata dalla ricorrente); né ha potere decisivo sulla soluzione del caso il diverso parere reso da un organo consultivo dell’Amministrazione finanziaria, quale risulta essere quello del Secit, richiamato nel ricorso, avendo il Giudice motivatamente disatteso il ragionamento contenuto in quell’atto.

2.2.2. Infine, va rilevato che, a proposito di altri beni (immobili) storici la Corte costituzionale, nella sentenza 346 del 2003 (e ordinanza n. 170 del 2004) ha si escluso la violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza nella determinazione del reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico ai fini delle imposte sul reddito (che viene stabilito mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato l’immobile e quando l’immobile di interesse storico o artistico sia locato), ma è

pervenuto a tale risultato poiché andava esclusa la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili in ragione del complesso dei vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di tali beni nonchè della forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di essi (ma essa non ha escluso l’opportunità di una nuova disciplina in materia che tenga conto della evoluzione del mercato immobiliare e locativo nel frattempo intervenuta).
Una tale esclusione dalla disciplina comune, con riferimento alle c.d. auto storiche, tuttavia, avrebbe avuto bisogno di una apposita normativa, quale è quella riservata agli immobili d’interesse storico-artistico, perciò caratterizzati da uno statuto proprietario particolare, fatto di limitazioni (quale il diritto di prelazione) e controlli (da parte della autorità di settore, quali le soprintendenze) da cui sono esenti (almeno fino ad oggi) le auto di interesse storico.

Perciò, la diversità di disciplina di tali beni risulta pienamente giustificata e impone la reiezione del ricorso, con addebito alla ricorrente delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 1.100,00, di cui 100,00 per esborsi, 1.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile della Corte di Cassazione, dai magistrati sopraindicati, il 17 novembre 2006.

Roberto Manieri

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