Cultura

Il Lapidarium, un museo romano nel cuore di piazza Loggia

La realizzazione del Monte Vecchio di Pietà nel 1480 si traduce nel primo museo lapidario romano noto
  • Monte Vecchio di Pietà, il Lapidarium di piazza Loggia
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  • Monte Vecchio di Pietà, il Lapidarium di piazza Loggia
    Monte Vecchio di Pietà, il Lapidarium di piazza Loggia
  • L'epigrafe detta «di Erbusco» sul Lapidarium: lunga oltre 5 metri si riferisce al giovane Augusto e risale al 44 a.C. - © www.giornaledibrescia.it
    Monte Vecchio di Pietà, il Lapidarium di piazza Loggia
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    Monte Vecchio di Pietà, il Lapidarium di piazza Loggia
  • Monte Vecchio di Pietà, il Lapidarium di piazza Loggia
    Monte Vecchio di Pietà, il Lapidarium di piazza Loggia
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Si deve con buona probabilità all’intento di Venezia di attestarsi quale erede ideale della grandezza della Roma antica la decisione di rendere l'intervento di riorganizzazione di un lato della recentissima piazza Loggia in molto di più: nella realizzazione cioè di una formidabile vetrina della classicità.

Siamo nel 1480: piazza Loggia (che ancora non porta questo nome per una ragione semplicissima: la Loggia è ancora in costruzione) ha meno di 50 anni, quando già si avverte la necessità di mettere ordine tra le botteghe che affollavano disordinatamente il lato meridionale di quella che ancora veniva indicata come platea magna. Viene così progettato l’edificio che oggi conosciamo come Monte Vecchio di Pietà o Lapidarium. Nome questo che allude alla caratteristica più straordinaria del complesso.

L'epigrafe detta «di Erbusco» sul Lapidarium: lunga oltre 5 metri si riferisce al giovane Augusto e risale al 44 a.C. - © www.giornaledibrescia.it
L'epigrafe detta «di Erbusco» sul Lapidarium: lunga oltre 5 metri si riferisce al giovane Augusto e risale al 44 a.C. - © www.giornaledibrescia.it

La facciata, infatti, viene concepita per collocarvi una serie di lapidi di epoca romana da poco rinvenute. A chi si debba il progetto della facciata non è chiaro, ma alcune specificità hanno condotto a ipotizzare che possa essersi trattato nientemeno che del Bramante. Le lapidi costituiscono per lo più epigrafi funerarie e bassorilievi.

Si tratta di un caso con ogni probabilità senza precedenti di museo lapidario, che denota una consapevolezza, propria dell’umanesimo rinascimentale, del valore di quelle pietre riemerse dal passato. La loro conservazione non era certo cosa scontata per l’epoca, in cui i marmi antichi divenivano quasi sempre materiale di reimpiego in edilizia se non destinati alle fiamme delle calchere per tramutarsi in calce a disposizione dei capimastri.

Tra le epigrafi salvate così dalla distruzione o dalla perdita, la più significativa è forse quella detta «di Erbusco» che, lunga oltre 5 metri parla di Augusto. La lapide risalirebbe al 44 a.C., l’anno dell’uccisione di Giulio Cesare.

Ma per gli amanti del cinema in costume, c'è un'altra chicca: tra le lapidi divenute parte integrante dell'edificio che oggi ospita uffici, ce n'è anche una che riguarda Nonio Macrinio, il generale romano che gli storici hanno accostato per le molte somiglianze alla figura del gladiatore interpretato nell'omonimo film da Russell Crowe, al quale è peraltro attribuita la proprietà di una grande villa a Toscolano-Maderno.

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