Una nebbiosa nostalgia di come (non) eravamo

La nebbia se n’è andata. Niente, non si fa più vedere
Non c'è più la nebbia di una volta
Non c'è più la nebbia di una volta
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La nebbia se n’è andata. Niente, non si fa più vedere. Io, che sono un tipo molto romantico, ho sempre amato quella leggera foschia. Quella nebbia, per citare Giosuè Carducci, che agli irti colli piovigginando sale. Versi cantati anche da Fiorello, giusto per continuare nello sfoggio di cultura.

A me è sempre piaciuto camminare nella nebbia, sentirmi avvolto e ricordare i tempi andati, quando la si poteva tagliare con un coltello. Quando si viveva in cascina e il formaggio sapeva di formaggio e le persone erano più sincere. Quando la sera per scaldarsi ci si ritrovava in stalla, che belle chiacchierate, e che profumo, altro che mettersi a guardare dal buco della serratura del Grande Fratello Vip. Perché certo ci si alzava di notte per andare a mungere, poi all’alba si mangiava una bella scodella di trippa e via di corsa nei campi. Si faceva fatica certo, ma lo stress non si sapeva neppure cosa fosse, ci si spaccava la schiena ma era tutta salute, zappare ore e ore ti forgiava per affrontare la vita. Quando andavi a prendere la pasta sfusa nella bottega in paese, altro che la spersonalizzazione dei centri commerciali.

Quando in tavola c’erano belle fette di salame nostrano e la polenta, sempre la polenta, altro che il modaiolo pesce crudo. Quando non c’erano i telefoni e per parlare con le persone ci dovevi mettere la faccia, comunicavi occhi negli occhi, e se volevi scrivere a qualcuno prendevi il pennino lo intingevi nell’inchiostro e vergavi una bella lettera. Che vita idilliaca. Ecco, poi mi viene in mente mio nonno, saggiamente diceva che la nostalgia della vita contadina colpisce soprattutto chi non l’ha mai vissuta.

 

 

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