In poche parole

Più radio? No, serve più tempo

Costringere le radio nazionali a trasmettere almeno un terzo di canzoni italiane: è una proposta di legge valida?
La radio resta il primo strumento di promozione per gli artisti
La radio resta il primo strumento di promozione per gli artisti
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Costringere le radio nazionali a trasmettere almeno un terzo di canzoni italiane. È la proposta di legge avanzata dal deputato leghista Alessandro Morelli. Servirebbe? Se l’obiettivo è quello di sostenere la musica italiana «già affermata», la misura avrebbe un senso (ma spiegatelo a Virgin, che trasmette solo rock internazionale).

La galassia dei social e dello streaming meriterebbe un capitolo a parte, quindi la lasciamo stare. Con la «morte» di Mtv, oggi per qualsiasi artista - big o emergente - passare su una radio importante resta il principale modo per pubblicizzarsi. Ipassaggi sono anche soldi che tornano nelle casse.

Basta per sostenere la scena? Basta per creare l’agognato ricambio generazionale (Liga e Vasco prima o poi smetteranno...)? No. Sapete cosa serve a chi si affaccia al mondo della musica e della discografia, con la speranza di sfondare? Il tempo. E pure i soldi.

Perché fare musica costa un sacco. E bisogna concentrarsi al 200% su quello che si fa, tralasciando gioco forza il resto (tipo studiare o cercarsi un lavoro). Un lusso che si possono permettere (quasi) solo quelli che hanno le spalle coperte. Servirebbero tempi e fondi per permettere ai ragazzi di esprimersi e di pagarsi almeno le spese. Le case discografiche dovrebbero essere invogliate a investire. E, a loro volta, lasciare ai ragazzi il tempo di crescere. Il ritorno della musica italiana in radio verrebbe di conseguenza.

 

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