Quella fame lunga che batte e ribatte

Termini creativi e accostamenti inediti del dialetto bresciano
I mangiatori di patate di Van Gogh - © www.giornaledibrescia.it
I mangiatori di patate di Van Gogh - © www.giornaledibrescia.it
AA

Batìt e rebatìt. Insomma: detto e ri-badito. C’è un modo tutto dialettale di sottolineare e rafforzare i concetti, che consiste nell’accompagnare un primo aggettivo con un secondo termine che ne raddoppi l’efficacia.

Spesso addirittura, se il secondo termine non è già lì bell’e pronto nel vocabolario, la lingua dei nostri nonni era in grado di forgiare allo scopo parole nuove dando prova di raffinata creatività. Ecco allora - ad esempio - che quando un oggetto è freddo, ma freddo freddo, si dice che l’è frèd fredènt (dove fredènt è una invenzione bella e buona). Oppure, di un frutto ancora acerbo, ma acerbo acerbo, si dice che l’è amó vérd verdós. Di casi in cui due aggettivi vivano di fatto in simbiosi linguistica, poi, il dialetto è pieno. Pensiamo a un grembiale ónt e bisónt, a un maleducato paesà quàder, a un berretto rós foghènt (rosso infuocato), ad una minestra calda peléta (cioè bollente al punto da scottare, da levare i peli come alle cotiche del povero maiale macellato) o a un testardo che è una söca baröca (la zucca barucca, detta così per le verruche che ne segnano la buccia gialla e bitorzoluta). Frequentissimo, infine, l’uso della similitudine.

E così di uno sciocco, ma sciocco sciocco, si dice che l’è endré come i bò (indietro come i buoi). Di un malvagio, ma malvagio malvagio, che l’è catìf come ’l bào (il bào è l’uomo nero raccontato ai bambini). E di qualcosa di tedioso che non finisce più che l’è lóng come la fàm. Ma può diventare la fame il paradigma di qualcosa che pare interminabile? Per i nostri nonni sì: avevano avuto tutto il tempo di conoscerla bene.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia