Storie

Le ansiàne, le spurtìne e il «prossimo» negozio

Mondi che si incontrano in periferia, all'esterno di un supermercato, dove la solidarietà è un modo di vivere quotidiano
Il Buon Samaritano del Romanino
Il Buon Samaritano del Romanino
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Ho la fortuna di frequentare in città un piccolo supermercato di periferia. Un quartiere coi palazzoni, che negli anni ’70 accoglieva chi arrivava dalla provincia e che oggi è abitato da ansiàni. Gente delicata e piena di delicatezze. È un negozio di prossimità. Dove le cassiere conoscono ogni cliènta per nome e sorridendo la aiutano a riempire la spurtìna.

Pochi giorni fa, un dialogo tra gli scaffali. «Encö g’hó gnamó ’ést la Fàtima...» dice una signora. «Ma ssé - risponde l’amica -, l’è lé de föra col sò negòse en tèra, a-pröf al mür». La Fatima è una ambulante africana, attende cliènte tutta intabarrata per difendersi da questo freddo padano. Mi resta nell’orecchio quell’avverbio - a-pröf al mür, vicino al muro - che avevo sentito in alta Camunia («Trìghet en àmen a-pröf al föc»). Altrove i bresciani usano a-pé, vizì oppure a-rènt. In quell’a-pröf io ci sento - voi direte che è suggestione - l’avverbio latino proxume che è il superlativo di prope (vicino).

E così in quello stare a-pröf al mür mi risuona l’«avvicinarsi», il «farsi prossimo» con cui l’evangelista Luca racconta la parabola del Samaritano. Cioè la storia di uno che per etnia non si trova proprio in cima alla scala sociale della Palestina del suo tempo, ma che pure si fa «vicinissimo» (proximus il termine nel testo latino, plésìon in quello greco) al viandante bastonato. A chi ha bisogno proprio lì e in quel momento. Pago il conto ed esco fuori per la strada pensando a cose mie, astratti furori. Lì a-pröf al mür le due ansiàne ora stanno contrattando con la Fatima l’acquisto di qualche carabattola. Donne di mondi diversi che sorridono di cose loro. È un negozio di prossimità.

 

 

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