La maréna in purezza e il dolce calamaio

Parole e sapori per i rossi frutti che allietano la stagione
La raccolta delle ciliegie
La raccolta delle ciliegie
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Una parola tira l’altra, proprio come le ciliegie. Una catena di radici e significati di cui scrivere all’infinito, purché dotati di stilo e adeguato calamaio. In dialetto la parola principe per dire ciliegia è sarésa, il rosso e dolcissimo frutto del Prunus avium che ci allieta questa stagione e che deve il suo nome al latino cerasum, a sua volta legato al greco kérasos (in Turchia c’era l’antica città di Cerasunte dalla quale secondo Plinio il Vecchio i romani avrebbero importato i primi alberi di questa specie). La stessa radice risuona anche nello spagnolo cereza, nel francese cerise e nell’inglese cherry. In bresciano il giardino piantumato a ciliegi diventa el saresér. Ma accanto al dolce Prunus avium c’è anche l’acido Prunus cerasum, da cui pendono sfacciate e sensuali le maréne (amarene), con le cugine ìssole (visciole) e maràsche. Solitamente destinate a marmellate, torte e spirito, le maréne sono difficili da conservare e per il loro carattere amarognolo non tutti (ma io sì...) hanno la fortuna di saperle apprezzare in purezza se appena colte dall’albero.

E il calamaio che c’entra? I romani chiamavano così il contenitore d’inchiostro perché per scrivere vi intingevano una cannetta, il calamus. Una cannetta, un bastoncino, è anche quanto i coltivatori di alberi da frutto usano per innestare una specie pregiata su un tronco sano ma diverso. Non a caso in dialetto bresciano innestare si dice encalmà. E non a caso il càlem è dalle nostre parti il nome del durone, varietà pregiata e rara di ciliegia che si ottiene con innesti. Proprio come le ciliegie: una parola tira l’altra.

 

 

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