La fretta, i funghi e il furto della bici

Se la «gàta frisùsa» non è mai un buon esempio
La vescia è usata in dialetto per indicare qualcosa di scarso valore
La vescia è usata in dialetto per indicare qualcosa di scarso valore
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Quel che rende una legge certissima e inappellabile è la sua capacità di fare rima. Tale ad esempio era la norma - nota a chiunque sia stato ragazzo nell’era del pincanello - secondo la quale senza dubbio alcuno «palla contesa palla alla difesa». Tale è anche l’antica constatazione - offerta a un mio collega dalla nonna Giuditta - secondo la quale «le ròbe fàde en frèsa le val ’na èsa». Il senso è chiaro: il lavoro fatto frettolosamente non vale nulla. Interessante il richiamo alla èsa che è qui la «vescia», il fungo noto anche come «scorèza de lùf» perché invecchiando inscurisce e se punto produce uno sbuffo di polvere di colore sgradevole. (Attenzione: ho scritto èsa con la esse sorda perché la èza con la esse sonora è termine dialettale per indicare una botte).

Regala curiosità anche la parola frèsa. Indica la fretta. E proprio come il termine italiano deriva da latino volgare frictiare che significa fregare, strofinare, così come il parrucchiere che frizioni la cute. Ma pure evoca l’ambito sessuale (tanto che si dice che i pesci vanno in fregola). In qualche modo, insomma, la parola frèsa si dimostra parente del termine gergale bresciano frisà che vuol dire ingannare, fregare, rubare («I m’ha frisà la bici...»). Ma torniamo in fretta alla fretta. Non è mai buona consigliera, tanto che si dice che «la gàta frisùsa la fa i minì òrb», oppure che «chèl che cica 'n frèsa el piàns de niscùs», o ancora che «la frèsa la fa ròmper le pignàte». Ma anche la fretta può essere accelerata. E allora le cose si fanno «en frèsa frisù». O addirittura «pö prèst che en frèsa».

 

 

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