Storie

Amore, foglie morte e rifiuti intelligenti

La lezione senza tempo dell’economia circolare in un vecchio adagio bresciano
A fa el patös ga öl el restèl, a fa l’amur ga öl el servèl, dice il vecchio adagio - Foto d'archivio
A fa el patös ga öl el restèl, a fa l’amur ga öl el servèl, dice il vecchio adagio - Foto d'archivio
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A fa el patös ga öl el restèl, a fa l’amur ga öl el servèl. Al vecchio adagio - che riemerge per conto suo da qualche nascosta piega dell’ippocampo - va anzitutto dato merito di catalogare l’amore per quel che è: un’opera d’ingegno da coltivare con intelligenza. Ma subito dopo gli va riconosciuto il pregio di offrirci un termine particolarmente intrigante. Quel che si raccoglie col restèl (il rastrello) è infatti il patös, cioè lo strame, il pacciame, l’ammasso di residui vegetali (foglie morte, erbacce secche, scarti del mais...) che veniva cercato nel bosco e nell’incolto e utilizzato soprattutto come lettiera nelle stalle. Operazione prettamente autunnale e a suo tempo femminile, come ci racconta anche la poesia «Utùer» di Aldo Cibaldi: «... le fómne cóle zèrle de patös..» Il termine patös scende della radice latina pactus (compatto), che condivide con l’italiano pattume. In alcune zone bresciane risuona anche la variante patàm oppure patüm.

Foglie e paglia, a dire il vero, non diventavano solo lettiera nelle stalle ma anche letto per gli umani meno abbienti: ci riempivano il balì, il piumino dei poveri, nel quale avvolgersi per ripararsi dal freddo. Ed è per quello che andare a letto e dormire può anche dirsi gergalmente ’ndà a balì oppure patümà. Insomma, l’economia circolare non è mica invenzione dell’oggi: gli scarti vegetali non finivano in pattumiera ma in patös, diventavano materia riciclata per le stalle (e a sua volta la lettiera raccoglieva quel ledàm destinato a ritornare alla terra per nutrirla) e per le case. In tutto questo c’è una lezione? Se c’è, suona così: non solo per l’amore, anche per gestire il pattume avere cervello non guasta.
 

Ps
Il detto di questa puntata di Dialèktika risuonava anche in una ninna nanna popolare rielaborata dallo scomparso maestro Facchinetti ed eseguita dal Coro Polifonico Carminis Cantores.

 

 

 

 

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