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Dal tennis all'idraulica e ritorno: la storia di Roberto Marelli

Il sogno del bresciano di sfidare Agassi e Sampras, poi l'infortunio, il lavoro da idraulico e il rientro come maestro
  • La vita con la racchetta di Roberto Marelli
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    La vita con la racchetta di Roberto Marelli
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Quando vede una partita di tennis, il piccolo Roberto Marelli corre nel campo, afferra le palline, vorrebbe giocare anche lui, non lo acchiappano mai. Allora, a 9 anni,  lo iscrivono a un corso e alla prima lezione sa già palleggiare, rivelando subito le doti di un predestinato. Si appassiona così tanto che a Concesio - il paese dove abita con la famiglia - dice a tutti di voler diventare il numero uno al mondo, va a dormire con la racchetta, sogna di sfidare Agassi e Sampras, i campioni di quegli Anni Novanta. Quando esordisce a 10 anni in un torneo è eliminato al primo turno. «Fa niente - dice a mamma e papà -, l’anno prossimo lo vincerò».

E così succede. Il ragazzino ha stoffa e carattere, allora i dirigenti di un club bergamasco gli propongono di andare ad allenarsi da loro. Lo fa 5 volte alla settimana per anni, prima da studente delle medie poi quando va a frequentare a Sarezzo l’Istituto per geometri. I genitori lo aspettano all’uscita dalla scuola e lo portano direttamente sul posto. È tutto quello che il piccolo desidera: allenarsi per diventare un campione. E a quattordici anni è già tra i primi 12 in Italia.  Ore e ore a impegnarsi, gareggiare, migliorare.

Tanto tennis, forse troppo. «Avvenne tutto all’improvviso - ricorda oggi -. Fui costretto a fermarmi 2 mesi per un infortunio alla spalla e allora tornai agli amici di un tempo. Scoprii i divertimenti di un adolescente che mi erano sempre stati negati: uscire la sera, andare in discoteca, fare le ore piccole. Così, quando, ormai guarito, avrei dovuto tornare al tennis, dissi basta. E definitivamente». Non solo. Roberto abbandona anche gli studi,  desideroso di riprendersi tutta la sua libertà. E si mette a fare l’idraulico. «I miei genitori non c’entrarono nulla in quella decisione. Loro non mi avevano mai messo pressione, desideravano solo il mio bene. Ero stato semmai indirizzato male da chi, oltre a insegnarmi il tennis, avrebbe dovuto aiutarmi a crescere. A un ragazzo va data responsabilità, deve essere indipendente nelle scelte. Invece mi era negato tutto e lo sport che avevo sempre amato da passione si era trasformato in incubo».

Per un curioso scherzo del destino, quando decide di iscriversi a un torneo di calcio con gli amici di un tempo, Marelli alla visita medica scopre di avere un lieve problema al cuore, che presto supererà. Ma intanto sta fermo per anni e lo sport diventa l’ultimo pensiero della sua vita. Fino a quando una ragazza gli fa cambiare idea. «Giocava a tennis, volevo fare colpo su di lei e allora, senza un briciolo di allenamento, decisi di partecipare a un torneo. Lo vinsi. E all’improvviso si riaccese il fuoco». Lo chiama proprio così. È quello che riattizza amori che sembravano perduti e che invece ci accompagnano per tutta la vita.

«Dopo sei anni, smisi di fare l’idraulico, un lavoro che tra l’altro mi piaceva moltissimo, e lentamente tornai nel giro». Da non classificato scala subito le classifiche e - anche se non diventerà un top player, come sognava da bambino - scopre che comunque il tennis può diventare la sua professione, diventando maestro nel 2010. E fra cadute e risalite, nuovi infortuni e recuperi ispirati da una incrollabile volontà - come quella di combattere un’ernia al disco -  continua ad andare in campo e ancora oggi è tra i più richiesti nei campionati a squadre.  Roberto ama definirsi un maestro che per hobby gioca ancora a tennis con l’esperienza giusta per far bene entrambe le cose.

Le sue giornate al centro tennis Franciacorta di Cellatica sono interminabili e appaganti, gli allievi ne apprezzano la serenità e la pazienza con cui si sentono seguiti. «A volte sto qui fino alle undici di sera. La cosa non mi pesa affatto. Se ami il tuo lavoro, non ti costa alcuna fatica». C’è un sogno che Marelli, oggi trentratreenne, custodisce nel cuore, anzi lo vede molto vicino. «So che un giorno capiterà, me lo sento. Avrò fra le mani un ragazzo di talento e lo porterò a diventare un professionista, magari quel campione che sognavo di essere io. Non gli farò ripetere gli errori che sono stati commessi su di me, gli insegnerò ad amare il tennis e la vita, ad impegnarsi senza rinunciare a nulla. E di lui farò soprattutto un uomo».

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