Sala Libretti

«L’Europa cambia se cambia l’Italia», tra imprese e politica

Al Giornale di Brescia il forum con Coldiretti e Aib. Prandini e Pasini: bisogna contare di più nella Ue
UN'EUROPA PIU' FORTE
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Insieme all’Europa, deve cambiare anche l’Italia. Parlano quasi all’unisono il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini, e quello dell’Associazione industriale bresciana, Giuseppe Pasini. Nella Sala Libretti del Giornale di Brescia, davanti a un pubblico numeroso, hanno animato un dibattito vivace con il direttore Nunzia Vallini e il giornalista Carlo Muzzi, raccontando come vedono e come vorrebbero l’Europa i nostri comparti produttivi.

Pasini invita a partire da una considerazione: «A volte ne parliamo come di qualcosa che non ci appartiene, mentre l’Europa siamo noi, è come noi l’abbiamo voluta». Il continente «è ancora una culla di competenze». È necessario, tuttavia, affrontare uniti le nuove sfide mondiali, dalla battaglia sul clima («una prerogativa europea e una grande opportunità economica e sociale») a quelle economiche, come la contesa sui dazi tra Stati Uniti e Cina: «Ma l’apparato burocratico allunga troppo i tempi delle scelte: per aiutare le imprese, l’Europa deve sburocratizzarsi».

 

 

In questa realtà, l’Italia potrebbe giocare un ruolo centrale: «Siamo secondi nel settore manifatturiero, ma contiamo poco a livello politico. Le grandi battaglie si fanno in Europa. Sulla politica energetica, ad esempio: la Germania, con il gasdotto che la raggiungerà dalla Russia, potrà condizionare gli altri. Ma l’Italia a quel tavolo non è presente». Mandare i migliori. La politica nazionale deve diventare più partecipe delle grandi decisioni europee. Lo ribadisce Prandini: «In quella sede non mandiamo il meglio della nostra rappresentanza politica, come fanno invece altre nazioni. Servono politici che sappiano tessere rapporti con gli altri Stati membri, e anche funzionari competenti, attenti a tutti i dossier. È in questo modo che la Spagna riesce ad acquisire più risorse europee di tutti. Criticare l’Europa è facile, noi invece dobbiamo imparare come starci».

Dal dibattito escono due voci critiche sull’allargamento dell’Unione a 28 paesi: «È necessario operare perché si assottiglino le differenze tra Stati membri, che portano concorrenza sleale», dice Prandini. E Pasini concorda: «Ho investito in Germania e Romania, e ho visto due Europe a diversa velocità. In questo modo la Germania, il paese più veloce, finisce per dettare le regole. L’Unione deve diventare una grande comunità, avere una sola politica fiscale e dell’integrazione».

Occuparsi meno di finanza e banche, aggiunge Prandini, «e più dell’economia reale, quella che crea occupazione». Anche le associazioni di settore hanno imparato la lezione unitaria. «Ci siamo messi al tavolo con le Confindustrie tedesca e francese», racconta Pasini. E Prandini, da quando è presidente nazionale, va regolarmente a Bruxelles, «cercando condivisioni di interessi con le rappresentanze degli altri paesi». Alla fine, si torna però a parlare di noi: per contare in un’Europa unita, serve un’Italia unita.

Ad esempio sulle infrastrutture, annota Prandini: «Dieci anni fa eravamo i primi nel settore ortofrutticolo. Oggi non lo siamo più perché la Spagna, che ha curato le sue infrastrutture, esporta per 13 miliardi di euro. Servono piani strategici di collegamento, mentre noi stiamo vendendo i porti alla Cina. E si deve uscire da un localismo che tra poco metterà in difficoltà anche la Lombardia».

 

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