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Processi, energia, fornitori e clienti: misurare l’impatto ambientale si può

Il Life cycle assessment è utilizzato per valutare le aziende che producono sia beni sia servizi
La metodologia tiene anche conto di come sono movimentate le merci - © www.giornaledibrescia.it
La metodologia tiene anche conto di come sono movimentate le merci - © www.giornaledibrescia.it
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La sostenibilità di un’azienda non è un concetto vago ma un parametro analizzabile e valutabile secondo precisi standard. Una delle principali metodologie utilizzate a livello internazionale per misurare impatto ambientale ed emissioni di CO2 nella produzione di un bene o di un servizio è il Life cycle assessment (Lca), letteralmente analisi del ciclo di vita.

«A seconda dei settori, del tipo di bene o di servizio prodotto, strumenti e metodi cambiano - spiega Carmine Trecroci, professore di Economia all’Università degli Studi di Brescia ed esperto in ambito sostenibilità -. Esiste però uno standard, che poggia su tre differenti macro-classi, per valutare carbon footprint e impatto ambientale».

All’interno

La prima area di analisi, chiamata Scope 1, scandaglia le attività svolte direttamente da un’azienda. «Si prenda l’esempio di un’acciaieria - evidenzia il docente -. Lo Scope 1 valuta la movimentazione della materia prima, l’energia utilizzata per produrre l’acciaio, le lavorazioni dello stesso e tutto ciò che un’impresa compie per fornire il prodotto a un cliente».

La seconda macro-classe è invece denominata Scope 2 e attiene alle modalità di produzione dell’energia che una realtà economica utilizza. In parole semplici si analizzano emissioni e impatto ambientale in ambito di produzione dell’energia. Ancora una volta l’esempio di un impianto siderurgico può aiutare. Per far funzionare un forno elettrico, tipologia applicata prevalentemente negli stabilimenti bresciani, si può utilizzare gas naturale per produrre appunto elettricità. Questa fonte ha un impatto ben diverso dalle rinnovabili, si pensi all’idrogeno ottenuto dall’elettrolisi dell’acqua (anche questo procedimento ha però un impatto più o meno gravoso per l’ecosistema).

Rinnovabili o no?

Vi è infine l’ultimo step, lo Scope 3, «ed è qui che le cose si fanno più complicate - sottolinea Trecroci -. A questo livello si valuta l’impatto di tutti i processi a monte e a valle di una produzione di beni o servizi. Si tratta della fase più difficile perché queste attività esulano dalle responsabilità della singola azienda». A monte si deve infatti tener conto di come un fornitore opera per garantire il bene o il servizio che propone sul mercato. Ancor più complicata è l’analisi del ciclo di vita, dall’utilizzo allo smaltimento fino a un possibile nuovo uso, fatto dall’utente o dagli utenti finali.

«La vera sfida della sostenibilità sta perciò a valle - conferma il professore dell’UniBs -, e le società che certificano con standard internazionalmente riconosciuti questi elementi chiedono sempre più controllo anche al di fuori dei cancelli delle singole fabbriche».

Anelli di una catena

Intrinsecamente legato alla valutazione del Life cycle assessment c’è perciò il concetto di filiera sostenibile.

Se si immagina infatti il ciclo di vita di produzione di un’azienda come una serie di tre anelli che si collega a monte e a valle con altre catene, ciascuna formata da Scope 1, 2, e 3, ecco che il concetto di value chain verde si chiarisce. Per essere sostenibili non basta produrre come singoli in ottica green. Per definirsi realmente tali bisogna approvvigionarsi di energia il più possibile pulita, appoggiandosi a fornitori che operano nel medesimo modo e, qui arriva il difficile, sapere il più possibile a chi si vendono prodotti e servizi, sapere come questi clienti abbiano intenzione di utilizzare ciò che viene venduto loro.

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