Cultura

La «Foschia» del farsi donna nel libro di Pignatelli

Storia toscana al femminile, sensuale e ribelle. Il fulcro del romanzo è il difficile diventare donna di Marta
Foschia di Anna Luisa Pignatelli, la copertina - © www.giornaledibrescia.it
Foschia di Anna Luisa Pignatelli, la copertina - © www.giornaledibrescia.it
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A 10 anni da «Nero toscano», con cui vinse in Francia il Prix des lecteurs du Var, a tre anni da «Ruggine», con cui vinse il premio Lugnano, esce «Foschia», e, aldilà della consonanza dei tre titoli, il contenuto rimanda a una temperie e una realtà toscana aspra e dolce di campagna, tra i colli senesi, che mostrano una fedeltà a sè stessa di Anna
Luisa Pignatelli
, al mondo da cui nascono le sue storie attorno a personaggi solitari, o meglio che si sentono soli.
Dopo il contadino Buio, con il suo disagio e violenza, l'anziana Gina col dramma del figlio, ecco Marta, donna che ormai adulta e malata ripercorre la propria vita e specie quella
legata all'infanzia e l'adolescenza che ha segnato e formato la sua esistenza e poi la sua carriera di attrice. Se i personaggi precedenti sembravano avere echi neri e secchi del mondo di Tozzi, questa potrebbe semmai ricordare qualcosa di Cicognani e delle sue donne migliori, irrazionali e sensuali che mettono in crisi le apparenze borghesi  dell'ambiente in cui vivono.

Marta, al contrario dei protagonisti dei libri precedenti, racconta in prima persona e la narrazione è come non partisse più dal narratore, dall'esterno, ma nascesse con un'unico punto di vista, il suo e il bisogno di ricostruire e chiarire il rapporto complesso di attrazione e repulsione che ebbe col padre Lapo, un critico d'arte di vaglia, ma ambizioso e  desideroso di bella vita tanto da sposare una ricca e arida collezionista. È con questo incontro e poi matrimonio che quel rapporto complice e ammirato verso l'uomo che porta con sé la bambina raccontandole e mostrandole le meraviglie dell'arte, si incrina e si modifica sviluppandosi in un gioco pericoloso e inquietante di provocazioni.
Prima, a Lupaia, nella semplice casa isolata in cima a un colle, con una bella madre dagli occhi pervinca, ma depressa e morta dentro, tutto sembrava un divertimento e un idillio, poi, quando questa viene ritrovata morta nel bosco dietro il casale, ecco che il padre rivela di avere da tempo un'amante, Dora, che ha una figlia Clotilde, nella villa delle quali, a Torre del Salto, porterà a vivere Marta e il fratello Antonio. Nasce, per la ragazza che non accetta la nuova sistemazione e come viene vista e trattata dalle altezzose padrone di casa, una convivenza forzata, insofferente, nostalgica.

Il fulcro del romanzo è comunque nel difficile diventare donna di Marta che si trova a potersi rapportare praticamente solo col padre, specie dopo che durante la malattia della madre ne prende in casa un pò le veci nell'accudirlo quando non è in giro per lavoro, e dopo si sente tradita e vorrà provare a riprendersi a qualsiasi costo quell'uomo che reputa naturalmente suo. Ecco allora tutto un gioco, che col crescere si fa semprepiù ambiguo e cosciente, sofferto e languido, di sguardi e attrazioni, che aumentano col suo sbocciare donna. 
Naturalmente non raccontiamo cosa accadrà e quali saranno le conseguenze, anche perché il tutto si lega alla leggenda relativa a un quadro che ritrae una certa Gismonda e ha la sua foschia, le sue oscurità legate alla essenzialità del raccontare, alla trasparenza delle psicologie, alla pulizia essenziale della scrittura della Pignatelli.

Fazi editore, pp. 206 - 16 euro

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