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Sanità 4.0, il futuro è adesso: la tecnologia migliora la vita

La Sanità si sta riorganizzando. L'esperienza della Poliambulanza
Alessandro Triboldi (a sx, direttore generale) e Umberto Cocco (direttore operativo) - Foto © www.giornaledibrescia.it
Alessandro Triboldi (a sx, direttore generale) e Umberto Cocco (direttore operativo) - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Diciamo questo: nella sanità la tecnologia non è una novità. Da anni e anni, siamo abituati a vedere attrezzature Tac più o meno sofisticate, si legge di magazzini automatizzati per la gestione dei farmaci, l’uso del robot in sala operatoria magari fa già più novità.

Insomma: sappiamo o intuiamo che la tecnologia da tempo sta dentro gli ospedali. Anzi e per dirla tutta: gli esperti dicono che Sanità e Difesa sono gli ambiti che da quasi sempre trainano le innovazioni tecnologiche. Ma, sempre per restare su una valutazione epidermica, l’impressione è che in questi ultimi anni l’elemento tecnologico sia molto più presente o - e per meglio dire - che negli ospedali (in alcuni ospedali) sia arrivata una forte componente di tecnologia accanto a quel che si potrebbe dire un elemento di "gestione industriale" dell’ospedale, della Sanità.

Diciamo che si sono industrializzati, razionalizzati, resi più efficienti i servizi. Ecco: se avete questa impressione non sbagliate. È un po’ così. Intuisco la possibile obiezione e l’alzata di sopracciglio di alcuni: beh, parlare di industrializzazione quando si parla di malati rischia di banalizzare la cosa, di voler trasformare in "fatturato" un ambito, un tema, un problema, un settore che - come nessun altro - al centro deve avere donne ed uomini.

Che c’entra l’industria, mica parliamo di tondino o di brioche. Qui parliamo di donne ed uomini, perdipiù malati e quindi doppiamente bisognosi di attenzioni. L’ho fatta un po’ lunga per introdurre una breve chiacchiera con Alessandro Triboldi, direttore generale della Poliambulanza e con Umberto Cocco, direttore operativo dello stesso ospedale e, guarda caso, ingegnere con netta formazione informatica e gestionale. «I medici sono gli esclusivi detentori degli aspetti clinici per quanto riguarda le cure, mentre sulla gestione anche un ingegnere può dare un suo contributo. E questo consente ai medici di stare concentrati sui malati e la ricerca, a noi tocca il resto».

Precisazione opportuna ma condividete l’idea che la Sanità si sta, diciamo così, industrializzando? «Diciamo meglio che si sta riorganizzando, si deve riorganizzare. In Poliambulanza abbiamo fatto sin qui un buon lavoro. Andremo avanti. E poi che significa industrializzare? Se è rendere più efficiente l’ospedale eliminando sprechi, intesi come tutto ciò da cui non trae beneficio il paziente, ben venga l’industrializzazione...».

Ma come si misura l’efficienza. In una fabbrica classica si dice che l’utile finale sia un indicatore di efficienza. Ma in un ospedale? «Ci sono diversi indicatori, i controlli, i riconoscimenti, certo anche il risultato economico finale. Se non sei efficiente non fai investimenti e alla lunga l’ospedale decade e anche la qualità delle cure ne risente. Facciamo un esempio: noi oggi abbiamo una degenza media di 4,4 giorni. Un tempo, 4 giorni servivano per fare le analisi preliminari ad un intervento. Anche in ospedale sono arrivate le tecnologie 4.0. Qui alcune delle tecnologie 4.0 possono per davvero fare la differenza fra la vita e la morte.

Le tecnologie 4.0, per l’appunto. Facciamo un esempio di applicazione di queste tecnologie, dove e come possono salvare una vita o rendere perlomeno una malattia più sopportabile. «L’uso di tecnologie in ospedale è ampio. Un’unica anagrafica per paziente: abbiamo organizzato un sistema che consente ad ogni medico e in ogni reparto di avere su tablet o pc i dati di ogni paziente, non serve andare a cercarli in questo o in quel reparto. Tutto è consultabile da ogni medico in ogni parte dell’ospedale. Lei sa cos’è l’imaging? Un tempo avremmo semplicemente detto che era la radiologia tradizionale, quel che si poteva vedere con una lastra. Adesso con la diagnostica per immagini avanzata si è fatto un passo avanti: ci sono software che fanno uso di intelligenza artificiale e aiutano il radiologo a vedere anche cose nascoste, che potrebbero sfuggire ad un occhio pur attento. Quindi la diagnosi la fa la macchina visto che il medico non vede... Non è così. La macchina, il software, aiuta, è un ausilio, ma le immagini vanno sempre e comunque interpretate da un radiologo. Inoltre in Poliambulanza, collegato alla cartella clinica elettronica, utilizziamo un sistema che si chiama UpToDate. È un supporto che fornisce al medico indicazioni e suggerimenti attinti in automatico da una bibliografia certificata a livello mondiale. Di fronte ad una situazione clinica, i nostri medici possono agevolmente verificare le raccomandazioni della letteratura scientifica sull’argomento. È un supporto».

Non è Watson, il mega computer di Ibm collegato a centinaia di università, centri ricerca eccetera che grazie all’Intelligenza Artificiale arriva a dare diagnosi? «No, non è Watson. Ma consideri che anche con Watson l’ultima parola spetta al medico. Però è vero che l’AI, l’Intelligenza Artificiale, sta entrando significativamente nella Sanità. Anche in ospedale, ad esempio, abbiamo la nostra manutenzione predittiva che non si riferisce alle macchine, ma alle persone. È la medicina predittiva e personalizzata. Per farla servono montagne di dati e programmi di Intelligenza Artificiale in grado di leggere questi dati. Questa è nuova: medicina predittiva e personalizzata...».

«Esattamente. In Poliambulanza il processo di informatizzazione e digitalizzazione è attivo da 10 anni e quindi abbiamo una montagna di dati, di cartelle cliniche. Abbiamo la storia di migliaia e migliaia di casi. E quindi dobbiamo capire come e perchè, disponendo di innumerevoli storie cliniche, questo agevola l’individuazione del miglior percorso di cura. Ma qui c’è il limite della privacy. Come gestite questo limite? «Questa è ricerca scientifica. Ovviamente i dati vengono elaborati senza i nomi dei pazienti, per essere chiari. In Sanità le informazioni sono super-riservate. Ma si può intuire che, avendo disponibili i dati (coperti dai nomi, mi ripeto) di migliaia e migliaia di persone si può ragionare meglio su come e perchè c’è una malattia. Anche e soprattutto per un ospedale i dati sono una ricchezza da valorizzare».

La chiacchiera è finita. Si scende nella reception. Non so se mai vi è capitato. Cinque-sei-sette casse. Oltre 1500 persone visitate ogni giorno in un flusso ordinato e ininterrotto. Il servizio Prenoting della Appocrate si è dimostrato uno straordinario strumento (tecnologico) per agevolare malati e struttura sanitaria. Il 29 maggio ne riparleremo.

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