Cucina

Molecolare: la rivoluzione in cucina non ancora compiuta

A colloquio con Ettore Bocchia, chef dell'Hotel Villa Serbelloni di Bellagio, che basa la sua cucina su fisica e chimica
  • Il ristorante Mistral è all'interno dell'Hotel Villa Serbelloni
    Il ristorante Mistral è all'interno dell'Hotel Villa Serbelloni
  • Il ristorante Mistral è all'interno dell'Hotel Villa Serbelloni
    Il ristorante Mistral è all'interno dell'Hotel Villa Serbelloni
  • Villa Serbelloni sul lago di Como - © www.giornaledibrescia.it
    Il ristorante Mistral è all'interno dell'Hotel Villa Serbelloni
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Una rivoluzione avviata già da tre lustri, che sta cambiando in radice la gastronomia, ma è stata tradita da molti e mal compresa dai più. Si può forse riassumere così l’evoluzione in Italia della cucina molecolare, al punto che spesso questa definizione è usata a sproposito e non raramente con un significato denigratorio. Ecco perché, giusto per schiarirsi le idee, val la pena di salire fino a Bellagio sul lago di Como, allo storico, straordinariamente glamour Hotel Villa Serbelloni, centenario protagonista dell’alta ospitalità italiana. E qui scambiare quattro chiacchiere con Ettore Bocchia, lo chef che ha introdotto la cucina molecolare nel nostro Paese prima di cenare sulla splendida terrazza del suo ristorante gourmet, il Mistral.

Allora chef, a che punto è la notte? «Non so dire a che punto siamo. Preferisco ricordare come siamo partiti per questo viaggio, ovvero dire della necessità che mi ha spinto ad applicare alla cucina i miei studi su chimica e fisica degli alimenti. Vede, il Villa Serbelloni ha un centinaio di camere, quasi sempre occupate da ospiti che restano anche un mese e più. Turisti in gran parte stranieri che mangiano nel mio ristorante decine di volte. A loro volevo e voglio offrire piatti nei quali i prodotti stupendi che riesco a trovare diano il meglio.

La chimica e la fisica di ciascun alimento mi danno le conoscenze necessarie per trattarlo con rispetto e ottenere il risultato di gusto che cerco. Sono come i mattoni di una costruzione: mi servono a realizzare l’edificio del mio piatto. Anche per una semplice pasta al pomodoro devo sapere come reagisce un San Marzano o un Ciliegino ad una temperatura, quali trasformazioni subisce in termini di consistenza, il punto preciso di fusione della pasta. Un processo che per ogni piatto devo standardizzare così che ogni portata sia esattamente come l’ho immaginata al momento dell’ideazione».

Sì, ma nell’immaginario collettivo la cucina molecolare sono spume, sfericizzazioni, gelati all’azoto…«Quelle sono spettacolarizzazioni che io non ho mai ricercato, servono a locali dove un ospite va magari una volta al mese, non ci torna tutte le sere. Spesso sono esercizi di stile che io non ho mai voluto fare, perché ciò che mi interessa è l’essenza del prodotto, la valorizzazione dei suoi elementi distintivi, l’applicazione anche di tecniche originali e innovative per ottenere quel risultato di gusto che ho immaginato al momento della creazione del piatto. Una procedura che codifico con precisione su ingredienti, tempi, cotture, temperature e quant’altro, in modo che sia sempre replicabile uguale a se stesso anche dai miei collaboratori».

La sensazione peraltro, al di là proprio degli show di qualcuno, è che i concetti base della cucina molecolare - l’attenzione tanto per fare un esempio alla texture o l’utilizzo cosciente della reazione di Maillard - siano ormai patrimonio comune di tante cucine, anche tradizionali. «Era ed è solo una questione di tempo. Pensi alla "nouvelle cuisine" con la sua attenzione al servizio singolo, al prodotto fresco, alle cotture espresse, alle geometrie ed ai colori nel piatto che è ormai la regola generale d’ogni cuoco, anche di chi ha criticato durante quel fenomeno. È e sarà così anche per la molecolare; nel senso che ogni cuoco già oggi opera utilizzando conoscenze approfondite di chimica e i fisica per lavorare i suoi prodotti. Ed io parto sempre dal prodotto: il piatto è sempre creato partendo dalle caratteristiche di un prodotto. Meglio, è la cucina che cerca quel determinato prodotto per poter offrire un certo piatto».

Il prodotto innanzitutto. Nel senso che il lavoro del cuoco è in gran parte trovare il prodotto giusto? «Di più. Nel mio caso spesso sono io che indico al produttore cosa mi interessa, che tipo di trattamenti in campo non voglio, che qualità pretendo da una verdura, da un frutto, da una carne».

E la seguono? «Dico qualche volta scherzando che l’allevatore e il produttore ci segue finché non diventa ricco. Ma certo è spesso una questione di soldi. Io posso permettermi, grazie a Villa Serbelloni, di comprare alcuni prodotti anche un anno prima, chiedendo all’agricoltore di lavorare come voglio io. Con lui peraltro discuto spesso di come va la coltivazione e l’allevamento, provo a risolvere con lui i problemi».

Ricerca oltre la cucina. Investe dunque più tempo nella ricerca dei prodotti che in cucina? «Non ho mai fatto il conto. Il mio compito è soprattutto creativo, a inizio stagione debbo ideare i piatti, codificare le procedure. Poi possono essere tranquillamente i miei ragazzi a prepararli, perché nulla è mai lasciato al caso».

Peraltro oggi in cucina ci sono grandi frigoriferi, abbattitori, congelatori, sottovuoto… «No, no, io non congelo e non abbatto nulla (solo il pesce da crudo per eliminare il rischio Anasakis) perché sono processi che, pur rapidissimi, provocano mutamenti profondi ed indesiderati nella struttura degli alimenti».

E allora come fate a gestire il ristorante? «Semplice: lavoro solo il fresco e mi garantisco che ogni prodotto arrivi in cucina al massimo 36 ore dopo la pesca o la raccolta. È solo una questione di organizzazione e di prezzo. Io, ad esempio, compro il pesce sulle barche prima che arrivino in porto e pago quello che chiede il pescatore. Poi ho un servizio di trasporto che, senza interrompere la catena del freddo, me lo porta in cucina entro 36 ore. Anche con il fegato grasso, ad esempio non uso sottovuoto: chiamo in Francia e ordino la macellazione avendolo sul mio tavolo in cucina in 36 ore. Costa, ma la qualità è assolutamente unica».

 

 

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