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«Tutto quello che c’è su Internet non è gratis: il brand va difeso»

Solo il 4% delle Pmi ha registrato un marchio o un brevetto. I consigli di Gummy e Spheriens
I protagonisti: da sinistra Mininno,  Moleri e Vallini - © www.giornaledibrescia.it
I protagonisti: da sinistra Mininno, Moleri e Vallini - © www.giornaledibrescia.it
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Solo il 4% delle Pmi in Italia ha registrato un titolo di proprietà intellettuale (marchio, brevetto o design), contro un 8,7% della media europea. Un dato che dovrebbe far riflettere perché oggi, nello spazio iper dilatato del web, i tentativi di appropriazione, le dispute sulla «paternità» del logo e, in generale, tutta una serie di grattacapi derivanti dalla volontà di rivendicare un marchio aziendale, sono dietro l’angolo.

E muoversi con consapevolezza nell’ambito del copyright e della proprietà intellettuale è dirimente per la tutela dei propri prodotti e per il consolidamento della brand reputation. Chiaro che, per farlo, l’imprenditore ha bisogno di un supporto legale, e non di tipo generalista, ma di qualcuno che se ne intenda, che sappia dove «mettere le mani» ancor prima che i problemi facciano la loro comparsa.

Lo sostiene Alessandro Mininno di Gummy Industries, agenzia creativa digital indipendente, affiancata dalla consulenza di Giacomo Moleri, avvocato e socio di Spheriens, tra i maggiori esperti italiani di Intellectual property, insieme relatori all’incontro «Il deposito e la tutela dei marchi registrati in un mondo post-internet», svoltosi nella sala Libretti del GdB e introdotto dal direttore del Giornale di Brescia, Nunzia Vallini.

Il punto

«Siamo abituati a pensare che quel che troviamo su internet sia gratis, ma non è così - rileva Mininno -. L’evoluzione dell’economia e dei mercati hanno anzi accelerato tutto e rendono certi compiti più ardui. Con Gummy e lo studio Spheriens che ci segue abbiamo dall’inizio cercato di sviluppare una dinamica virtuosa, che capovolge l’idea di un rapporto di "odio" tra impresa e dipartimento legale».

Ci sono alcune variabili di cui tener conto, spiega l’avv. Moleri, quando si intraprende un percorso di registrazione del marchio: il territorio (verificare che non siano presenti omologhi marchi nell’area di riferimento del business aziendale); la classe merceologica (sono 45 in tutto, l’ultima delle quali riguarda i social network) e la variabile «tempo», in quanto la normativa prevede un arco quinquennale per verificare la disponibilità del marchio, senza che nel frattempo sia necessariamente soggetto ad uso.

I casi

Moleri e Mininno portano una serie di casi esemplificativi, dal brand milanese Octopus impegnato in una lunga controversia con una società di surfisti americana alla pasticceria Giorgio di Firenze, vittima di un «furto» di proprietà intellettuale da parte di alcuni imprenditori coreani che ne hanno replicato il modello, fino alla querelle tra i celebri stilisti Mario Valentino e Valentino Garavani (quel «Valentino» nel nome dell’uno e nel cognome dell’altro è stata foriera di molti guai), che si trascina da molti anni.

C’è poi il capitolo dei «meme», un linguaggio cui moltissimi brand ormai vanno ricorrendo e che pure nasconde insidie non da poco sul fronte della liceità nell’utilizzo. Un marchio dura dieci anni e registrarlo comporta un onere inferiore ai 3mila euro, mentre agire ex post, ossia difendere un marchio non depositato, ha costi esorbitanti. «L’importante - conclude il legale - è che il cliente sia a conoscenza dei rischi, e fornirne una visione è il nostro compito».

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