Un rametto di mimosa certo, ma non fermiamoci a quello

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Voglio spendere due righe per la categoria della quale faccio parte: «Le donne». Un applauso alle loro corse di prima mattina, con lo scopo di far quadrare un’intera giornata. All’attenzione per i figli, preoccupate dei loro insuccessi, e la missione di procurargli solo gioie perenni. Alle amiche di sempre, a quelle nuove, perse e ritrovate, alle buone parole e all’allegria così importante. A quelle sbagliate, diverse, quelle che un cuore spento ha reso crudeli. Alle sorelle e alle madri, un rifugio segreto sempre aperto, per consigli e parole sagge. Ai mariti, un po’ figli anche loro, dai quali pretendiamo le attenzioni che le abitudini hanno reso superflue. Alle malinconie dei giorni veloci, che segnano il passaggio dei nostri anni e l’illusione di fermarli chiudendo i bei ricordi in una cornice. Ai momenti bui, che sappiamo trasformare, con la nostra grande forza chiamata «sensibilità», delicata come questa piccola mimosa, simbolo della nostra festa, che ci meritiamo. Marina Baldan Borgosatollo Ho donato rametti di mimosa a tutte le donne a cui voglio bene. Banale come un cioccolatino a San Valentino? È vero. Ma la vita quotidiana è diventata talmente frastornata, ed inutilmente «impegnata» a rincorrere social e dintorni, che quel fiore giallo porta uno spiraglio di luce serena. E strappa un bacio, un abbraccio, un sorriso. Non è certo poco. Poi però da domani parliamoci chiaro. Perché quote rosa e simili fanno tanto riserva indiana. Peggio, danno l’impressione che un posto debba essere dato a un donna per il «genere» e non per le sue capacità. Ma allora non è anche peggio? Qualcuna dirà che è già qualcosa, un passo avanti. Può darsi. La strada però non mi sembra delle migliori. Diciamoci una verità brutale nella sua banalità: la diversità è ricchezza. Perché se le donne per competere con gli uomini devono acquisirne i difetti allora no. Il voler parificare tutto, il voler far credere che si possa essere interscambiabili è una truffa ideologica. Mia nonna si alzava alle quattro del mattino per preparare la schiscetta a mio nonno che iniziava il turno alle sei. Non era una donna sottomessa, era l’essere parte (fondamentale) della famiglia. Era un gesto d’amore. (f. alb.)

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