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Seattle, spari tra i manifestanti: muore un ragazzo di 16 anni

L’area dove da giorni sono accampati gli antirazzisti è terra di nessuno. L’ira di Trump: «Vandali anarchici»
Il quartiere di Seattle occupato dai manifestanti
Il quartiere di Seattle occupato dai manifestanti
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Notte di violenza a Seattle, l’ennesima notte di spari in quella che è diventata terra di nessuno, l’area che le centinaia di manifestanti antirazzisti accampati giorno e notte hanno ribattezzato Chop Zone, nel quartiere giovane e trendly di Capitol Hill. Stavolta a rimanere a terra due teenager, uno di 16 e uno di 14 anni: il primo non ce l’ha fatta ed è morto subito dopo il ricovero, l’amico versa in gravi condizioni.

Ancora poco chiari i motivi della sparatoria, la quarta in dieci giorni, per un bilancio complessivo che comprende altri quattro feriti e un altro teenager ucciso, un ragazzo di 19 anni. Una situazione che sta sfuggendo alle autorità locali che finora, nel solco della tradizione di una delle città più liberali d’America, hanno tollerato la presenza del campo autogestito dagli attivisti di Black Live Matter e di altre organizzazioni, messo in piedi nei primi giorni delle proteste per la morte di George Floyd.

Più volte invece su Twitter il presidente Donald Trump ha sfogato la sua rabbia contro i manifestanti dell’area, definiti «vandali, anarchici, agitatori», e contro i vertici della città di Seattle e dello Stato di Washington, rei per il tycoon di non far nulla per porre fine a una situazione giudicata pericolosa e indecorosa. «Quando è troppo è troppo», afferma ora anche il capo della polizia locale, Carmen Best, afroamericana, lasciando presagire che lo sgombero dell’area potrebbe essere imminente, nonostante i rischi di provocare tafferugli, se non di scatenare una vera rivolta.

Ma anche il numero dei manifestanti nella Chop Zone si è dimezzato. In tanti hanno lasciato anche per paura dopo i numerosi episodi di violenza, quasi tutti non legati alle proteste, ma più che altro frutto della mancanza di vigilanza che lascia spazio anche all’azione di gang e criminali comuni. E potrebbe non avere a che fare niente con le proteste e con la politica anche l’ultimo grave episodio. I testimoni raccontano di una Jeep bianca che verso le tre del mattino si è avvicinata alle barriere di cemento che delimitano l’area. A quel punto da un gruppo di persone non identificate sarebbero partiti verso il Suv diversi colpi di arma da fuoco: nel video delle telecamere di sorveglianza si odono almeno 19 spari, con il fuggi fuggi generale delle persone ancora sveglie a quell’ora.

Intanto a Minneapolis il giudice ha fissato all’8 marzo 2021 l’inizio del processo ai quattro ex poliziotti coinvolti nella morte di George Floyd; Derek Chauvin, l’ex agente che lo ha soffocato stringendo il collo della vittima con un ginocchio, rischia fino a 40 anni di carcere. Il magistrato ha quindi invitato le parti a non commentare più la vicenda sui media, ammonendo sul rischio di trasferire il provvedimento altrove. Prosegue nel frattempo l’offensiva dei social contro i contenuti d’odio e razzisti, dopo le polemiche e il boicottaggio (l’ultima a sospendere la pubblicità è Ford) che hanno investito Facebook, Instagram, Twitter e YouTube. Mentre piattaforme come Reddit e Twitch hanno deciso di censurare il presidente Trump e alcuni gruppi dei suoi sostenitori, YouTube ha annunciato di aver oscurato alcuni canali gestiti da personalità di alto profilo del mondo del suprematismo bianco, tra cui quelli dell’ex leader del Ku Klux Klan David Duke, l’estremista che in passato ha ammesso di aver votato per Trump.

 

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