Italia e Estero

Il Papa tra i migranti a Lesbo: «Fermare il naufragio di civiltà»

Francesco dopo 5 anni torna sull’isola simbolo delle migrazioni verso l’Ue: «Basta paralisi della paura»
Tra i piccoli profughi. Papa Francesco all’arrivo sull’isola di Lesbo - Foto Ansa  © www.giornaledibrescia.it
Tra i piccoli profughi. Papa Francesco all’arrivo sull’isola di Lesbo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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«Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei piccoli corpi di bambini stesi inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!». Ha un tono quasi di scoramento, papa Francesco, quando pronuncia il suo atto d’accusa nel campo profughi di Lesbo, il «Reception and Identification Centre» alle porte di Mytilene che ha preso il posto del famigerato campo di Moria, raso a terra da un incendio nel settembre 2020.

Tra recinti di filo spinato, baracche, tende e container, anziché le parecchie migliaia del vecchio campo, che era il più grande d’Europa - già visitato da Bergoglio il 16 aprile 2016 -, oggi i profughi accolti sono 2.200, molti meno della capienza massima di 8.000 per ragioni legate al Covid. Ma le condizioni di vita, pur migliorate, sono sempre molto dure. E il tempo scorre lento nel limbo dei permessi di asilo che non arrivano mai.

Al suo arrivo il Papa saluta uno a uno centinaia di rifugiati, stringe mani, dispensa sorrisi e parole di conforto e incoraggiamento, ascolta storie e invocazioni, accarezza soprattutto i bambini, spesso in tenerissima età. E all’incontro cui partecipa anche la presidente della Repubblica Ekaterini Sakellaropoulou, il suo intervento entra a fondo nella questione-migranti, la Caporetto umanitaria di oggi. «Disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani, si offende Dio. La fede ci chiede invece compassione e misericordia. Esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica», prosegue: «Non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. E il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù».

Per il Papa, «è facile trascinare l’opinione pubblica instillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio?» Ed «è triste», lamenta con riferimento alla più stretta attualità in Europa, «sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, dei fili spinati. Siamo nell’epoca dei muri, dei fili spinati». Certo, «si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza».

«Quante condizioni indegne dell’uomo! - denuncia - Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte!» Eppure, «il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto». Il Papa chiede che si superino «la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini!». E non manca di richiamare che «chiusure e nazionalismi - la storia lo insegna - portano a conseguenze disastrose». «Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso». La migrazione, in definitiva, «è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti».

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