Cultura

«Entra in gioco con la testa», il libro della mental coach di Marcell Jacobs

Nicoletta Romanazzi e il suo «non metodo» per allenare i propri talenti e imparare dai propri limiti
La mental coach Nicoletta Romanazzi con Marcell Jacobs, il più famoso degli atleti che ha contribuito a portare alla vittoria - Foto © www.giornaledibrescia.it
La mental coach Nicoletta Romanazzi con Marcell Jacobs, il più famoso degli atleti che ha contribuito a portare alla vittoria - Foto © www.giornaledibrescia.it
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È la testa a fare la differenza. Nella vita come nello sport. Lo ha più volte raccontato anche Marcell Jacobs, il campione olimpico che a Tokyo 2020 ha conquistato due ori e che in pista ha messo tutto ciò che era necessario per distruggere i propri muri, quelli che inconsciamente ci creiamo, in una sorta di auto-sabotaggio che ci dice di provarci, ma in fondo non per davvero. Era stato così, a lungo, per lui: grandi performance in allenamento e poi in gara risultati non significativi. Alla fine, ci ha creduto fino in fondo grazie alla sua volontà e al percorso fatto con una mental coach, Nicoletta Romanazzi. «Marcell ha fatto un lavoro straordinario e in poco tempo» ha raccontato lei: «Ci siamo incontrati per la prima volta a settembre: a febbraio ha vinto gli Europei e subito dopo sono arrivate le Olimpiadi». Dimostrando che nello sport, come nella vita, a parità di potenza e preparazione è la testa a fare la differenza.

Quello di Jacobs è stato il caso più clamoroso, ma Romanazzi ha affiancato diversi atleti - come Luigi Busà, altra medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo nel Kumite, e Viviana Bottaro, bronzo nel Kata - e segue vari calciatori di serie A. Come allenare i propri talenti e fare pace con le proprie paure per realizzare il proprio potenziale, Nicoletta Romanazzi lo spiega in «Entra in gioco con la testa» (Longanesi, 240 pagine, 18,60 euro).

In copertina: Nicoletta Romanazzi fotografata per il suo libro, edito da Longanesi
In copertina: Nicoletta Romanazzi fotografata per il suo libro, edito da Longanesi

La figura del mental coach è da tempo diffusa all’estero, ma solo da poco si comincia a parlarne in Italia: come mai?

Ci sono ancora tanti pregiudizi: se ti fai affiancare da un mental coach è perché hai un problema, perché sei debole. Per molto tempo questo è stato, purtroppo, l’approccio. Non c’è nulla di più insensato: se vuoi allenarti, il tuo lavoro sarà più efficace se lo fai con un preparatore atletico anziché da solo, giusto? Così, un mental coach è una sorta di preparatore atletico della nostra mente, per il raggiungimento della massima prestazione possibile.

Quando è utile un mental coach?

Purtroppo, spesso, si inizia a intraprendere un percorso quando ci sono dei problemi. Ed è un grande limite. Bisognerebbe farlo prima, per imparare a scoprire quali sono le nostre risorse e il nostro potenziale e sfruttarlo nel modo migliore, anche solo per imparare a conoscerci meglio. Oltre allo sport, per quali altre figure professionali potrebbe essere un utile strumento? Per qualsiasi persona. Fare mental coaching significa lavorare su come funzionano la nostra mente e gli stati d’animo, come cambiarli se serve, come riuscire a gestire in modo positivo le proprie emozioni, come acquisire più sicurezza di sé, lavorare sui propri talenti, sulle aree di miglioramento, ed anche sulla paura di sbagliare o di fallire. Chi non è consapevole del proprio potenziale non è in grado di sfruttarlo al massimo. Sono tutti argomenti essenziali, che andrebbero insegnati a scuola, perché ci permettono di andare nella direzione che vogliamo, di prendere in mano la nostra vita realizzandoci davvero.

Nel libro definisce il suo un «non metodo»...

Non c’è «la soluzione», per ogni persona l’approccio è diverso. E con la stessa persona, in momenti differenti della sua vita, deve necessariamente cambiare anche il metodo. La realtà muta costantemente e con essa cambiamo anche noi. Cambia il nostro approccio nei confronti della vita, cambiano le nostre esigenze. Per questo lo definisco un «non metodo», perché le etichette limitano e creano confini.

Cosa intende quando scrive che la cosa peggiore che si può fare a sé stessi è porsi l’obiettivo di vincere?

Potrebbe sembrare un controsenso. La vittoria è un obiettivo flessibile e sul quale non posso esercitare il pieno controllo. Facciamo l’esempio di un atleta che lavora per vincere un data medaglia, ma il giorno della gara accade l’imprevisto: soffre di un risentimento muscolare, la pista è bagnata o un avversario inatteso è più preparato. Se la medaglia per la quale hai lavorato duramente non la vinci, cosa ti resta? La sensazione di aver fallito. È giusto sognare la vittoria, ma ciò a cui dobbiamo tendere è realizzare la nostra migliore prestazione possibile. Non esiste magia in grado di dare la certezza matematica di una vittoria, ma la vera magia è costruirsi la certezza di poter dare sempre il meglio di sé.

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