Residuo fiscale, ogni bresciano dà allo Stato 5.380 euro all’anno

Nel solo capoluogo il conto supera il miliardo di euro, il saldo della Regione arriva quasi a 54 miliardi
La consultazione. Si vota il 22 ottobre dalle 7 alle 23
La consultazione. Si vota il 22 ottobre dalle 7 alle 23
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Ogni cittadino lombardo riversa nel conto corrente della solidarietà «intestato» al resto del Paese più di 5.500 euro all’anno, per un totale di 53,9 miliardi di euro. Neonati e ultracentenari inclusi.

Un contributo che per quanto riguarda il Bresciano ammonta a quasi 6,8 miliardi di euro: 5.380 euro per ogni cittadino. Il conto è della Cgia di Mestre che, proprio in vista del referendum di Lombardia e Veneto in programma domenica 22 ottobre (si vota dalle 7 alle 23), ha condotto uno studio accurato sul cosiddetto «residuo fiscale». I dati, fa sapere l’ufficio studi, sono riferiti al 2012, ultimo anno in cui è possibile confrontare le entrate e le spese di ciascuna Regione.

Tuttavia, se si ricostruisce l’andamento registrato nell’ultimo quinquennio, il quadro parrebbe rimanere sostanzialmente stabile per la gran parte dei territori: «È verosimile - si legge nell’indagine - ritenere che non vi siano state delle significative variazioni anche negli anni successivi al 2012».

 

 

Cosa emerge in sostanza? Che al nord si versa allo Stato molto più di quanto si riceve. E questo anche al netto della solidarietà verso le regioni più povere.

Cosa si intende esattamente per residuo fiscale? La differenza fra tutte le entrate (fiscali e non) che le pubbliche amministrazioni prelevano da un determinato territorio e i fondi che in quello stesso territorio vengono poi spesi o, se si preferisce, investiti.

Come avviene oggi la ripartizione e perchè chi sostiene il «sì» al referendum ritiene fondamentale la questione del residuo fiscale? Con ordine. Il gettito complessivo è oggi diviso in due parti: la prima fetta resta sul territorio regionale, la seconda no. A sua volta, questo tesoretto che esce dai confini territoriali viene spartito in differenti ambiti: in parte va a coprire le spese pubbliche dello Stato non localizzabili (dagli stipendi dei magistrati a quelli degli insegnanti fino al compenso e al mantenimento del parlamento) e il debito pubblico nazionale. In parte va a sostenere le zone più povere di altre.

E siccome la Lombardia è tra le Regioni più ricche, questa ripartizione balza particolarmente all’occhio, perchè la differenza fra quanto viene riversato nel conto corrente extraterritoriale è di gran lunga superiore rispetto a quanto - al contrario - lo Stato investe sul territorio lombardo. Basti pensare che la sola Brescia città ha un residuo fiscale che supera il miliardo di euro, secondo solo a Milano.

È in questo contesto che si inserisce il dibattito politico: da un lato, c’è la necessità di sostenere - per il principio di solidarietà - le regioni del sud; dall’altro c’è però anche la volontà di voler in qualche modo «tracciare» le risorse donate, così da capire «per cosa sono servite e se sono state spese per opere necessarie e al giusto costo». Di più: vista la differenza tra quanto viene «donato» dalla Lombardia e quanto invece lo Stato riversa sul territorio regionale in termini di «servizi» o risorse economiche, la richiesta di coloro che invocano l’autonomia è di poter acquisire la regia di alcune competenze ad oggi amministrate dallo Stato centrale. Gestendole in sostanza «in casa». Alcuni esempi? La tutela di ambiente e beni culturali, il commercio con l’estero e la tutela del lavoro, le norme generali sull’istruzione, la salute, il governo del territorio.

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