Memoria come rimedio contro l'apatia

Una nuova riflessione di Augusta Amolini intorno alla festa del 25 aprile
Tricolore - Foto © www.giornaledibrescia.it
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«Qual è la vera Vittoria, quella che fa battere le mani o battere i cuori ?». Dovremmo interrogarci come fece Pier Paolo Pasolini mentre con occhi indifferenti guardiamo il tricolore sventolare sulle facciate delle Sedi Istituzionali, esposto per celebrare la liberazione della nostra amata e vituperata Italia.

Noi che abbiamo avuto la benevole sorte di non conoscere la guerra siamo accomunati da uno sbiadito senso di appartenenza che considera la libertà una mera consuetudine. Nel tempo abbiamo imparato a maneggiarla con gesto abitudinario, come l’acqua che scorre dal rubinetto o l’interruttore che accende il forno in cucina. Ricordare come abbiamo ereditato la Democrazia dovrebbe essere sancito dalla Costituzione, come il diritto al lavoro, alla casa e al pieno sviluppo della persona umana.

I sostantivi Italia, Repubblica e Libertà si declinano al femminile, lo insegnava «la scuola della vita» frequentata dalle nostre bisnonne. Come altre donne avevano fatto in passato, esse impararono ad assumere le responsabilità familiari e l’avvicendamento nel lavoro, mentre gli uomini con ruvide divise in orbace e «scarpe di cartone» venivano inviati al fronte o si univano ai gruppi partigiani.

Molti di quei soldati avevano appena smesso di essere ragazzi quando furono catturati e portati lontano anni luce dalle loro case e dalle motivazioni del conflitto. Troppi morirono, combattendo per liberare dalla dominazione nazi-fascista la terra che coincide con i confini geografici della nostra Patria.

Lo fecero con il nome della mamma sulle labbra e la fotografia della «morosa» nella tasca sinistra, sopra il cuore. Dentro questa tragica Storia collettiva è profondamente nascosta un’altra vittima collaterale della prepotenza fascista, una donna la cui vicenda personale riflette gli anni cupi del regime.

Il nome di Ida Dalser non è molto noto, cancellato dal potere per aver ingaggiato una strenua battaglia privata contro il Duce, nel tentativo di affermare una scomoda condizione di prima moglie. Le sue affermazioni non vennero mai convalidate, tuttavia, rinchiusa in manicomio con il figlio Benito Albino che il duce aveva riconosciuto, sostenne fino alla morte di avere contratto matrimonio religioso con Mussolini. Oggi la distanza temporale dagli eventi storici relativi al fascismo ci rende reticenti e ne sfuma i reali confini. È necessario ricordare che nel «teatro della sopraffazione» i demoni sono sempre pronti a riaprire il sipario. Solo la memoria vigile può metterci al riparo da repliche future.

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