Le rogasiù contadine e il canale Bambenèlo

Il bisogno di un «liberanosdòmine» al tempo del Covid-19
Candele, preghiere - © www.giornaledibrescia.it
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«A peste, fame et bello...». Continua a vibrare in questi giorni terribili l’eco della preghiera di Papa Francesco giunta fino al cielo da una Piazza San Pietro vuota. E immersa in un vuoto assordante. Quella benedizione Urbi et Orbi, quella preghiera a liberarci «dalle malattie, dalle epidemie e dalla paura del fratello» richiama forte quella tradizione delle

Rogasiù che a fine Aprile portava le comunità contadine a pregare ai quattro cantoni del proprio territorio per scongiurare il male. Quella era una cerimonia collettiva. Segnata dalle figure, dalle consuetudini, dai tic di ogni paese. Nel Dopoguerra a Pralboino il tavolgente curato don Peppino Berta portava per le Rogasiù i ragazzi dell’oratorio sul confine col paese vicino, indicato dal canale irriguo del Bambenèlo realizzato nell’Ottocento dal garibaldino cav. Ercole Strada. E così all’invocazione «A peste, fame et bello» i ragazzi non intonavano un regolamentare «liberanosdòmine» ma urlavano un ridente «de là del Bambenèlo».

Don Peppino fingeva di non accorgersene e si andava avanti così: «A fulgure et tempestate... de là del Bambenèlo», «A flagello terrae motus... de là del Bambenèlo»... Anche col Covid-19 qualcuno - qualche capo di Stato - ha calcolato che «peste, fame et bello» si sarebbero scatenati solo al di là di un immaginario Bambenèlo. Ma così non poteva essere e così non è stato. Tra le cose che questa peste ci sta insegnando è che oggi un canale irriguo al di qua del quale rifugiarsi non esiste più. Oggi esiste solo una comunità in un solo territorio. Il mondo.

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