La caedàgna della vita e la fèrla che sopporta

Vengono avanti affiancati, ai margini del paese, lungo la caedàgna inondata dalla primavera. Lenti e cadenzati. Si sfiorano la mano rimasta libera. L’altra, la mano esterna, è occupata: «Dopróm dò fèrle en dù».
Loro sono una coppia incontrovertibilmente matura. È lei che prende l’iniziativa, ferma il passo e racconta: «Mé g’hó fàt l’ànca destra, lü ’l zönöcc sinìstro. El dutùr el g’hà dìt isé che g’óm de caminà...». E se nell’andare la protesi vacilla? «Sa postóm giü a l’alter», ci appoggiamo l’un l’altro. Quante cose racconta la lingua! Il termine bresciano fèrla si traduce nell’italiano stampella. Ma è una traduzione che, pur se corretta, rischia di non rendere tutto il retrogusto che alla parola dialettale viene dalla sua solida radice latina: fèrla deriva dal latino ferula che è il bastone da passeggio, la canna cui appoggiarsi per non cadere.
A sua volta, il termine latino si costruisce sulla radice del verbo fero che basilarmente significa portare. La fèrla porta il tuo andare. Sarà la primavera che apre il cuore, sarà una scusa per tirare il fiato, sta di fatto che la coppia incontrovertibilmente matura non la smette più di raccontare. Dalle vicende cliniche a quelle coniugali. «G’óm za-bèle fàt el cinquantésimo...» confida la signora dell’anca. «I-è za-bèle sinquant’àgn che sa soportóm...» contrappunta il coniuge del ginocchio.
Ci sopportiamo... E di nuovo il significato della radice latina di fero - portare - torna sorridendo. Sopportarsi, tenersi su, sostenersi. E quando la caedàgna della vita ci frappone un inciampo, esser pronti a «postàs giü a l’alter». A trovare in chi ci sta a fianco la più efficace delle fèrle. Primavera dopo primavera.
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