In piazza con noi a San Polo: la fotogallery

Le telecamere di Teletutto domenica nella zona sud ospiti di don Marco Mori e della chiesa di San Paolo
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Altro che San Polo, le torri e dintorni e chiuso. San Polo è tanta umanità, sparsa, mobile, di accenti diversi, di una brescianità ripresa in officina, oratorio, in bottega e supermercato, nella torre e nella villetta. San Polo somiglia alla periferia di paese, di città e di metropoli, nel più e nel meno. San Polo è ostile soltanto al luogo comune in cui la si ritrae come sobborgo di un antico quartierato sballato.

Non è il Bronx, San Polo. San Polo è un’umanità simile a te se solo la tocchi, le parli, le stringi la mano. E poi c’è il resto. Basta entrare nella parrocchiale della Conversione di San Paolo e si capisce l’estensione, la varietà umana e sociale, la differenza nella unità di tre parrocchie, questa di San Polo a sud, e le altre due a curare il popolo delle torri e vicinanze.

Un totale di circa 35mila anime nell’unità pastorale che comprende anche le parrocchie di Buffalora, Caionvico e Sant’Eufemia. Noi di «In piazza con noi» vivremo per un poco di ore, la mattina di domenica 1 novembre alle 11, nella chiesa parrocchiale della Conversione di San Paolo; e ricorderemo subito, su suggerimento del parroco don Marco Mori, le 5mila anime che stanno qui invisibilmente, ma se hanno bisogno compaiono e a loro tutte viene data una risposta.

San Polo è periferia per eccellenza, con chiese buttate giù ed erette come nuove, con comunità solidali nella comunità parrocchiale, con oratori, fabbriche, la questura, centri commerciali e qualche bottega. E località frazionata, le Gerole per esempio, che avvertono di un passaggio duro tra campagna e industria.

Ci mancava poco, e don Marco ci avrebbe ospitato anche a pellegrinare fino all’ultima ora nella bella chiesa parrocchiale adorata e affrescata, magnificamente e unicamente in dieci anni, dal più importante artista del Novecento almeno bresciano-lombardo, quell’Oscar Di Prata uomo buono, con un’interiorità tormentata dalla guerra d’Africa, dal ritorno difficile. Qui, nella chiesa della Conversione di San Paolo, l’artista ritrova un’innocenza simile alla sua fisionomia, ad elevare, altissima, una docilità confortante e compassionevole, ossigeno assoluto in questi tempi duri. In tv.

I conduttori Clara Camplani e Marco Recalcati spiegheranno questa terra di confine in cui nessuno è lasciato solo e tutti stanno dentro nei visi belli del Vangelo cantato da Di Prata, e dentro in quel Barattolo d’Oro, libro raccoglitore di pensieri, opere, poesie, disegni, di chi è passato e passa da qui nell’era pestifera; e trova uno spazio per andare oltre e per tenersi mano nella mano fin quando si dovrà. Abbiamo trovato l’autore del primo scritto, Davide Bandera, giovane attore dell’oratorio, nel senso che lo agisce, lo interpreta e ci ha spiegato il primo sogno del futuro: «Sogno di ottenere un lavoro alla fine della scuola, tra un annetto».

Ora, vedete, il sogno si contiene, si fonde nel diritto costituzionale, non è la favola, il sogno è lavoro, è concretezza, è un’identità da indossare con il desiderio di un impegno. Caspita, che sogno, il primo articolo della Costituzione è il sogno di Davide e di chissà quanti altri giovani. Così si avanza, altro che giovani sghembi, qui ci ritroviamo in loro per quello che fummo e loro per quello che siamo stati noi: a ciascuno il suo. Ci impegneremo a riempire il Barattolo d’Oro, leggeremo i messaggi, metteremo il nostro: «In piazza con noi sta con voi. Contateci».

Pioviggina su San Polo verso Buffalora e là in fondo immagini i Santi e i Morti avanzare prima del tempo. Si inchinano a tutte e tre le San Polo, che è una, come la trinità - minuscolo - e si levano il cappello davanti alla casa dell’associazione «Le mamme per la vita» e all’associazione «Narcotici anonimi». Scrivono il loro pensiero e lo depongono nel Barattolo d’Oro. Lo leggiamo domenica, festa ufficiale dei Santi.

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