Figliastri e matrigne o amore familiare?

A volte le parole creano distanze che nella realtà non esistono o non si percepiscono. La riflessione di Augusta Amolini
Due bambini abbracciati - Foto © www.giornaledibrescia.it
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«Dicendole, non si rovinano forse le cose?». Rispondo assertivamente al quesito posto da Virginia Woolf essendone pienamente convinta, soprattutto quando sono le desinenze a modificare in senso dispregiativo i concetti contenuti nelle parole.

Non si producono forse difformità distinguendo in figli e figliastri i bambini nati da nuove unioni dei genitori? Seppure la legge li parifica da un punto vista giuridico i termini per definirli restano anacronistici, poiché conservano nelle pieghe del linguaggio comune un esplicito pregiudizio. Sono tanti i fratellastri che vivono serenamente in famiglie allargate, si frequentano e si amano senza porsi troppe domande. Tuttavia a scuola accade che maestri zelanti li correggano quando parlano dei loro fratellini più piccoli. Essi non comprendono questa puntualizzazione e ne soffrono, ritenendola un’ingiusta classificazione di serie B.

Il dizionario sociale non concede neppure la visione cristiana che ci considera tutti fratelli. Ne deriva una realtà spinosa ingiustamente addossata ai bambini, spesso in situazioni fragili che descrive la famiglia con i nomi inadeguati di sorellastre o matrigne, evocativi di lacerazioni raffigurate da Cenerentola o dalla strega Grimilde. L’etimologia della parola nonna se viene declinata in nonnastra ne svilisce il senso, soprattutto quando vengono dedicate attenzioni in uguale misura a nipoti carnali o a nipoti acquisiti.

I legami familiari possono prevalere su separazioni e controversie legali, ma esigono l’intelligenza sensibile dalle parole, per rafforzare situazioni complicate che indeboliscono affetti e consanguineità. Si potrebbero evitare aggettivi che denunciano una parziale appartenenza familiare, eliminando sinonimi discriminatori, mostrando la stessa pietà che si riserva ai genitori che hanno perso un figlio, per i quali non c’è alcun nome che li identifica. Il dolore è indubbiamente diverso, ma anche lo smembramento di una famiglia provoca in molti ferite profonde che non cicatrizzano mai, neppure da adulti.

Avere figli o fratelli è una condizione insostituibile e nessun vocabolo dovrebbe mai rimarcare la distanza creata dal destino. Nel termine fratellastro che sottolinea le relazioni di parentela è contenuta l’incontrovertibile origine della stessa carne, il cui mastice naturale non può essere stemperato da un retaggio di preconcetti valoriali ormai superati.

È l’amore la linfa comune che scorre nelle vene dell’albero della vita, il potente catalizzatore che unisce i genitori ai figli, siano essi nati di primo o di secondo letto. Ogni altra parola detta risulta essere rovinosamente inutile.

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