Crisi e Conte ter: dalle dimissioni al Colle alla sfida in aula

Diverse le opzioni per uscire dallo stallo politico. Intanto c'è il voto su Bonafede. Di Maio: il voto è sul Governo
Giuseppe Conte
Giuseppe Conte
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Non si fida del sentiero che passa dalle dimissioni, Giuseppe Conte. Ecco perché continua a resistere all’assedio di chi gli consiglia di dimettersi prima di mercoledì e provare a resettare tutto per arrivare al suo governo «ter» con una maggioranza allargata al centro. A chi lo sente dice di preferire la sfida a viso aperto in Aula al Senato, su un tema delicato come la giustizia: si vedrà se i parlamentari di Italia viva seguiranno davvero Renzi nel votare No, si vedrà se alla fine i «costruttori» se ne resteranno ancora sugli spalti. La strada a Renzi resta sbarrata, per ora le dimissioni vengono negate.

Ma un cambio di schema - apertura a Renzi inclusa - nella maggioranza non lo escludono più. La relazione del ministro Alfonso Bonafede potrebbe contenere il segnale atteso dal Pd sulla riforma del processo civile e penale. I pontieri sono al lavoro, circola l’ipotesi di un decreto per la riforma che accelerando i processi smini anche il blocco della prescrizione. Ma i Cinque stelle non sono pronti a digerire abiure sulle loro bandiere, Italia viva non è disposta ad accontentarsi. E poi, come dichiara Di Maio, il voto è ormai diventato «sul governo». Su Bonafede, ma anche su Conte. Se la relazione sarà bocciata, non solo il guardasigilli ma l’intero esecutivo rischia di essere travolto. Perché l’operazione responsabili sembra già fallita. Ed è difficile che il presidente della Repubblica possa dare al premier un reincarico. A quel punto si potrebbe scivolare verso lo scenario del voto, che - negli auspici dei contiani - potrebbe cancellare Renzi relegandolo sotto il 3% e incoronare Conte leader dell’alleanza progressista con Pd-M5s-Leu. Ma si potrebbe anche allargare una faglia che inizia a intravedersi tra le file parlamentari di Pd e M5s, aperta da chi promette che farà di tutto per sventare il voto.

Il Nazareno e i leader M5s continuano a «blindare» Conte come unico premier possibile (e digeribile dai gruppi M5s). Ma dalla minoranza Pd ricordano che la direzione Dem non si è mai chiusa: la linea del voto andrebbe discussa e sia Bettini che Orlando hanno definito le urne «una sciagura». E anche tra i pentastellati c’è chi sussurra che «non si può rischiare di far saltare il Recovery per salvare Conte».

Un nuovo governo senza Conte, magari con una «maggioranza Ursula» che includa FI: ecco la minaccia che anche qualche pontiere paventa al premier. Senza fatti politici nuovi entro le prossime 24 ore, il premier - è il suggerimento - dovrebbe presentarsi al Quirinale per rassegnare le dimissioni e aprire il tavolo per il Conte ter. La linea potrebbe anche essere definita in un vertice con i capi delegazione e leader di Pd, M5s e Leu. Riunioni non sono però ancora convocate. Boccia apre ai renziani. Se Conte andasse al Colle, Mattarella potrebbe dargli un mandato esplorativo se non fosse uscita allo scoperto una maggioranza certa, o dargli l’incarico pieno di formare un nuovo governo se si palesassero numeri certi con Italia viva e magari un gruppo di centristi.

Ma può Conte fidarsi? Pd e M5s gli garantiscono di sì. Ma il rischio è che nelle more delle consultazioni Renzi, magari con gli stessi centristi, apra a ipotesi diverse. Ed è vero che Conte tiene aperto il filo con la parte più dialogante di Forza Italia, su proporzionale, elezione del capo dello Stato, Recovery. Ma un sostegno aperto di FI a un Conte ter è difficile che si materializzi prima del voto al Senato sulla giustizia. «Chiamare» o no Renzi, questo è il dilemma. Al Nazareno aperture non se ne registrano: «Renzi non garantisce stabilità» dice un parlamentare vicino a Zingaretti. In parallelo anche da Iv dicono che segnali di apertura non si son visti. Anche se il ministro Francesco Boccia ha invitato Conte a riaprire il dialogo. Ma per ora è una voce isolata, perciò Renzi conferma l’orientamento per il No su Bonafede. Tuttavia Iv è pronta a sedersi al tavolo e rivedere la linea, magari astenersi, se un segnale arriverà.

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