Covid-19, nel Bresciano non si può parlare di nuovi focolai

Le autorità rassicurano: si tratta di contagi interni a nuclei familiari
Passeggeri con la mascherina a bordo di un autobus - Foto Epa/Antonio Bat
Passeggeri con la mascherina a bordo di un autobus - Foto Epa/Antonio Bat
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Nel Bresciano al momento non ci sono più focolai epidemici. Il numero dei casi registrato quotidianamente in diversi paesi, e in particolare a Brescia, riguarda contagi che avvengono all’interno delle famiglie, tra marito e moglie o genitori e figli. Lo specifica Ats Brescia, sottolineando «che non si tratta di una ripresa dell’epidemia».

Anche perché, lo ricordiamo, si può parlare di focolaio epidemico quando una malattia infettiva provoca un gran numero di contagi. Si infettano intere comunità o regioni in modo sproporzionato rispetto a quanto atteso. Questo, ad ora e speriamo anche in futuro, non si sta più verificando, anche se da più parti l’invito è a «non abbassare la guardia».

«Affermare che il rischio epidemico sia cessato non ha nessuna base scientifica, può essere causa di disorientamento e indurre una parte della popolazione a non rispettare le indicazioni di contenimento che invece devono essere mantenute». Lo dicono in una nota congiunta i presidenti delle società scientifiche degli infettivologi (Simit), degli anestesisti (Siaarti), di Medicina generale (Simg), di diabetologia (Sid) e di geriatria (Sigot).

La Simit sottolinea la necessità di continuare a mantenere le misure di prevenzione e le argomentazioni sono state esposte in una lettera aperta. Un documento in cui viene spiegato che è solo grazie alle misure di contenimento adottate con il lockdown che è stato possibile arrestare la progressione dell'ondata epidemica. Un esempio è quanto sta accadendo negli Stati Uniti: hanno avuto dieci giorni di vantaggio rispetto all’Italia, eppure la diffusione del virus non accenna a diminuire, seminando dolore e lutti, in gran parte evidentemente legati alle misure di contenimento solo parzialmente osservate.

E ancora: «Non esistono diverse tipologie del virus: il ceppo virale implicato tanto nei casi mortali quanto in quelli di modesto significato clinico è stato sostanzialmente lo stesso, con le variazioni nel genoma che sono attese in un virus a Rna, ma che non sono tali da giustificare una differente virulenza di un ceppo rispetto agli altri». Inoltre «dagli studi attuati e in corso non emergono differenze significative nei ceppi virali presenti e studiati in Italia».

«Tutte le evidenze scientifiche attualmente disponibili indicano nella risposta immunitaria individuale l’elemento determinante nel condizionare il decorso della malattia. In altre parole, non è il virus ad essere più o meno aggressivo, ma è il singolo ospite umano più o meno in grado di difendersi». È verosimile - si legge ancora nella lettera - che il virus responsabile della disastrosa epidemia in corso in Brasile sia lo stesso che si è diffuso nel nostro Paese. I recenti focolai a Roma, Palmi, Mondragone e in Emilia dimostrano che il virus attualmente circolante è attivo e contagiante; quando incontra contesti in cui possono essere coinvolti anziani o pazienti a rischio, come è accaduto al San Raffaele Pisana di Roma, è in grado di causare casi di estrema gravità come all'inizio dell'epidemia.

 

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