A Brescia, scorie radioattive tra controlli e bunker in cemento

La legge prevede un deposito nazionale, ma per ora si sono costruite strutture temporanee. Arpa: «Sono sicure»
Una simulazione di controllo in entrata in un’azienda - © www.giornaledibrescia.it
Una simulazione di controllo in entrata in un’azienda - © www.giornaledibrescia.it
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Bunker in cemento armato per confinare materiale radioattivo arrivato in alcune aziende bresciane (Alfa Acciai, ex Fonderie Rivadossi di Lumezzane, Acciaierie Venete di Sarezzo). È da anni la linea della Prefettura, cui spetta dare il nullaosta alla costruzione di queste strutture che sono temporanee mentre la legge prevederebbe un deposito nazionale a lungo termine per i rifiuti radioattivi, dalla durata di vita anche molto diversa gli uni dagli altri.

Lo ricorda Bortone Beaumont, viceprefetto dirigente dell’Area Protezione civile e Soccorso pubblico. E lo sottolinea con forza Aldo Zenoni, professore ordinario di Fisica sperimentale all’Università degli studi di Brescia, rammentando che l’Italia ha rinunciato al nucleare per produrre energia ma ha ancora a che fare con materiale radioattivo di uso industriale e medico, puntando il dito contro una politica «attenta più alle prossime elezioni che alle future generazioni» e suggerendo che il deposito nazionale dovrebbe essere realizzato in una zona caratterizzata da stabilità geologica, come quella testimoniata dalla presenza di miniere di sale. La premessa, enunciata dal dottor Beaumont, è che in provincia di Brescia il tema del trattamento del materiale radioattivo è particolarmente importante in ragione del numero delle aziende: «Abbiamo vari fascicoli aperti, e ogni pratica è a uno stadio differente». Si parla di migliaia di tonnellate di materiale.

Conferma Maria Teresa Cazzaniga, direttore del Settore Attività produttive e Controlli dell’Arpa, richiamando peraltro la recente nascita in seno all’Ispra dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione che tiene sotto controllo i siti di tutta Italia. «Purtroppo - osserva la dottoressa Cazzaniga - ogni tre-quattro anni si verifica un incidente in azienda, ovvero la fusione accidentale di materiale radioattivo. E infatti i rifiuti da gestire derivano principalmente da decontaminazioni a seguito di incidenti in acciaierie e fonderie. Per quanto riguarda i siti bresciani, dalla rete di monitoraggio regionale risulta che sono ben tenuti e ben controllati. Certo rivolgiamo speciale attenzione a discarica Capra ed ex cava Piccinelli. I bunker? Sono sicuri».

Da parte loro, come osserva il professor Zenoni prima ancora dell’Associazione industriale bresciana, «le aziende conoscono bene il pericolo costante di ricevere (non necessariamente per motivi dolosi) le cosiddette "sorgenti orfane", e soprattutto di introdurle nel processo produttivo». Perché in quest’ultimo caso «si contaminano prodotti e impianti, con un grave danno economico, e si rischia l’inquinamento ambientale con conseguenze prima di tutto per i lavoratori e poi per la popolazione».

Mentre intercettare il materiale radioattivo in entrata, grazie ai portali di cui tutte le aziende sono ormai dotate, vuol dire bloccarlo e quindi circoscrivere il problema, avvisando subito gli organi competenti e trovando una soluzione nell’ambito del tavolo interistituzionale convocato dal prefetto. «La collaborazione con le aziende - assicura al riguardo Beaumont - è ottima. La questione si complica quando l’azienda presenta altre criticità o quando si tratta di un sito abbandonato; ma per quel che concerne il comparto privato le aziende bresciane sono attente e pronte all’ascolto».

D’altro canto, «rilevare le radiazioni può essere difficile perché il materiale radioattivo è spesso contenuto in schermi», spiega ancora Zenoni. Il che però, quando il materiale viene intercettato, è positivo perché, precisa Emanuele Cavaliere, ricercatore di Fisica della materia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, questa «autoschermatura» li rende più innocui. Una volta confinato il materiale in un deposito, infine, «l’unico rischio potrebbe essere quello dell’infiltrazione d’acqua, ma il cemento armato dovrebbe scongiurarlo».

 

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