Dalle pentole alle scarpe: quando il paese si serviva dai Bugatti

Centootto anni di attività, la bottega Bugatti di via Trieste a Sant’Apollonio è storia; ha accompagnato Lumezzane e i suoi abitanti
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Centootto anni di attività, la bottega Bugatti di via Trieste a Sant’Apollonio è storia; ha accompagnato Lumezzane e i suoi abitanti lungo le trasformazioni del tempo, attraverso le guerre mondiali e il boom economico del paese, e nonostante il momento «non troppo florido» resiste ancora oggi.

«Ad avviare l’attività - racconta Gianfausto Bugatti, che oggi gestisce la bottega con la sorella Serenella - fu il nonno Faustino Bugatti detto "Gagì" che in sella alla sua bicicletta si recava ogni giorno nella vicina Val Sabbia a vendere i prodotti in ottone, le posate e le pentole realizzate a Lumezzane».

Qui il nonno conobbe Maria Laffranchi, la sua prima moglie dalla quale ebbe tre figli, Bentivoglio, Ancilla e Alfredo e con la quale aprì il locale in via Trieste. «All’epoca questa via era il cuore di Lumezzane e lo è stata per molti anni. Quasi tutte le aziende più importanti sono nate tra questi vicoli e le attività commerciali erano numerosissime, non esistevano i centri commerciali né la grande distribuzione, quello che oggi è il negozio di quartiere all’epoca era l’unica opzione».

La bottega era rifornita di qualunque genere alimentare e i prodotti arrivavano sfusi perché le famiglie erano numerose e ciascuno portava i suoi sacchi, cesti, latte e bottiglie di vetro a riempire.
Rinnovamento. Dopo la morte della prima moglie, il nonno Gagì si risposò nel 1935, periodo in cui gli affari andavano molto bene, con un’altra Maria, Maria Zobbio, che con la sua conduzione introdusse stoffe, scarpe e prodotti di ferramenta.

Il negozio supera indenne anche la Seconda guerra mondiale, la lontananza dei figli chiamati alle armi o per motivi di studio, non impedisce il fiorire dell’attività condotta fino agli anni ’50 dall’instancabile nonno Faustino aiutato dalla moglie e dalla figlia Ancilla.

Il matrimonio di quest’ultima e la malattia del padre costringono il figlio Alfredo a lasciare gli studi di farmacologia per dedicarsi all’attività di famiglia. «Nel frattempo si era aggiunto il negozio di abbigliamento e la via era sempre più il cuore della Valgobbia con sei bar, due negozi di scarpe, uno di elettrodomestici, una trattoria e un albergo: la vita e il lavoro erano frenetici».

Dalla metà degli anni ’70 la gestione passa a Gianfausto, che di recente ha rimodernato l’intera struttura, anche se il commercio è molto cambiato. «Anni fa vendevo circa 150 panini al giorno, per gli operai delle fabbriche circostanti, oggi la clientela è calata, sono pochi i fedelissimi che si servono ancora qui. Capitano clienti ormai adulti che vengono a cercare la mortadella che davano loro la madre o la nonna».

Gianfausto sposato e padre di quattro figli, tra 4 o 5 anni dovrebbe andare in pensione e con lui l’attività. «Oggi questo lavoro non è più redditizio, ormai il centro storico è morto, e questa zona non è più centrale e di passaggio. Comunque, credo ancora nei negozi di quartiere, sono gli unici a poter dare a clienti e venditori la qualità e l’unicità dei prodotti». 

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