Cultura

Sulle montagne russe senza cinture: il live dei Battles

Grande performance dei Battles alla Latteria Molloy, un caos musicale che trova equilibrio e armonia e fa ballare
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
  • I Battles alla Latteria Molloy
    I Battles alla Latteria Molloy
AA

I Battles, power ensemble di New York, sbarcano sul palco della Latteria Molloy e mettono in scena una performance che si accende fin da subito. Disfunzionale trio capace di sfiorare l’orizzonte del caos sonoro senza mai caderci del tutto, i tre, in scena venerdì sera, si confermano paladini di un genere meticcio e unico, ritagliandosi una nicchia di esclusiva paternità.

Ascritti nelle fila del math-rock, la materia che i Battles martellano a suon di colpi sui tamburi e di strisciate sui synth fonde il rock all’elettronica, il jazz al prog, il metal all’avanguardia. Dalla psichedelica dura come un martello pneumatico ma ritmata al punto giusto da far sussultare e ondeggiare il pubblico della Latteria di «Ice Cream», ai suoni docili e flautati di «Futura», tutto nei Battles sembra trovare naturale equilibrio e armonia

In un’intervista rilasciata a qualche mese di distanza dal rilascio dell’ultimo album, «La Di Da Di», il chitarrista Ian Williams aveva detto che assistere ad un concerto dei Battles è come andare in sella alle montagne russe senza imbracatura di sicurezza. Ed effettivamente, dai crescendo in levare di «Dot Com» al graffiti-math dell’acclamata «Atlas», il suono nevrotico e scomposto della band passa dall’ammutolire il pubblico investendolo con un muro di suono, a coinvolgerlo in ritmi familiari, piani e ballabili.

Complice anche la loro disposizione sul palco, aggrediscono gli spettatori mantenendo quel fare spigoloso e lievemente snob di chi, in fondo, preferisce preservare una certa distanza dal pubblico. Sono infatti pochissimi gli scambi che Ian Williams e David Konopka, bassista e chitarrista, concedono durante il concerto. A compensarli subentra la scenografica performance di John Stanier, indiscutibile protagonista del palco e giocoliere della batteria. «The Yabba» chiude il cerchio E fa calare il sipario su uno fra gli show più cerebrali e allo stesso tempo fisici a cui assistere.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia