Cultura

L’Aura: «Torno, controcorrente, con nuova consapevolezza»

Da domani il singolo «I’m An Alcoholic», che anticipa l’album della cantautrice bresciana in uscita a settembre per la Time
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«Negli ultimi anni sono diventata mamma e ho scritto canzoni; ma ho fatto pure altro, solo con tempi diversi rispetto a prima. La nascita di un bambino cambia gli equilibri e tutto acquista una dimensione più spirituale».

Quando esordì, nel 2005, con un disco di impronta internazionale («Okumuki»), L’Aura - al secolo Laura Abela, cresciuta tra Caionvico e Rezzato, poi per un paio d’anni a San Francisco - era una 21enne dalla voce dolcemente potente e magnetica. Il successo fu immediato, condito da dischi d’oro, Sanremo, presenze stabili in hit parade; ella si adattò a ritmi infernali, e ne risentì forse la possibilità di assaporare con pienezza la propria età.

Dopo un silenzio interrotto qua e là dalla composizione di brani per altri artisti e da selezionati duetti (con Laura Pausini, Enrico Ruggeri, Malika Ayane, Paola Turci), la musicista bresciana irrompe nuovamente sulla scena con «I’m An Alcoholic», un singolo di gusto beatlesiano, in uscita dopodomani, venerdì. È l’anticipo di un album annunciato per settembre, che è prodotto dal marito Simone Bertolotti e mixato da Michael Brauer agli Electric Lady Studios di New York: ci sono già il titolo («Il contrario dell’amore») e l’etichetta, la bresciana Time di Giacomo Maiolini.

Con L’Aura, che ora risiede a Cremona, abbiamo parlato del nuovo lavoro.

Non vuoi anticipare molto, ma il singolo colpisce per le sonorità anni ’60 e ’70...
Si tratta di un concept-album in cui ho messo parecchio di quanto ho imparato e di quanto amo. Quindi ci sono i Beatles, c’è David Bowie, ma ci sono pure gli anni ’90...

Mancano gli ’80. Per scelta?
Quella non è una decade che mi convince molto, specialmente nella musica italiana.

Il mix linguistico si conferma tuo marchio di fabbrica...
Mi vengono naturali sia l’italiano sia l’inglese: in questo senso, sono un perfetto esempio di globalizzazione. Appartengo a una generazione che, viaggiando molto, parla e ascolta idiomi diversi.

Come componi?
In passato lo facevo all’inglese, muovendo dalla melodia e costruendoci sopra il testo. Ora parto quasi sempre dalle parole: mi aiuta la lettura, mentre dal cinema attingo più che altro riferimenti estetici.

Tornando ai viaggi: dove ti hanno condotto?
Tra il 2000 e il 2010 viaggiavo alla ricerca di me stessa: non mi sentivo particolarmente bresciana, né italiana. Ho vissuto negli Stati Uniti, ho girato, per scoprirmi infine profondamente europea, e recuperare un po’ alla volta, con consapevolezza nuova, le mie radici.

Dall’ep «Sei come me» del 2010 non hai pubblicato più nulla...
Per anni non mi sono mai fermata e, sensibile come sono, non ero strutturata per resistere a una pressione così forte. Alla fine ero esausta, satura: ho staccato la spina, rifiatato, azzerato tutto e ricominciato con un nuovo imprinting. Finalmente ho avuto la possibilità di crescere e diventare adulta.

«Il contrario dell’amore» è il disco che sognavi?
Assolutamente sì. L’ho difeso con le unghie e con i denti, perché lo volevo proprio così e non importa se c’è voluto tempo per realizzarlo. Vado controcorrente rispetto a un’epoca che svaluta le opere: ho pensato a qualcosa che potesse durare nel tempo.

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