The Floating Piers, il lungo addio: tre mesi per rimuovere tutto

Ci vorranno tre mesi perché l’opera d’arte diventi, a tutti gli effetti, solo un ricordo. Nel frattempo scatta la nostalgia
AA

L’appuntamento, appena un paio di giorni dopo la chiusura della passerella, è al piccolo lido di Sulzano. A neanche cento metri da dove, fino a domenica scorsa, un milione e duecentomila persone hanno potuto mettere piede su The Floating Piers. Da lì, dal lido, la visuale è perfetta. Lo è stata dal 18 giugno al 3 luglio, e lo è ancora. Solo che oggi il panorama è cambiato: nessuna traccia del percorso giallo dalia, nessuna traccia dei visitatori emozionati ed eccitati mentre camminano sulle acque. Siamo ai titoli di coda: giusto qualche frammento dei tronconi, spogli, bianchi.

«È scattata la fase nostalgia - ammette Franca, pensionata sulzanese che si è appena fatta un bagno nel lago -. Tutta quella gente, quei turisti: non ci hanno che portato buone cose. E poi, chi avrebbe scommesso che non ci sarebbe stato nessun incidente grave? Io no».

«Certo - le fa eco Caterina, cittadina bresciana in vacanza a Sulzano, dalla figlia - diciamo che per i turisti sedici giorni sono stati pochi. Ma per qualche cittadino, isolani compresi, è stato un periodo davvero lungo».

Abbandonato il lido, l’altra tappa obbligata per un tour post-passerella è la contrada del Drago. Via Cadorna è stata l’accesso a The Floating Piers. Oggi non rimangono che il cartello con le indicazioni meteo (i famosi codici - dal bianco al rosso - che tanto hanno tenuto i visitatori col fiato sospeso) e l’attracco in acqua. 

Eppure c’è chi non ha resistito. Come Giorgio, venuto da Bolgare (Bergamo) per immortalare gli ultimi segni di vita dell’installazione. «È la mia quarta volta. L’ho fotografata camminandoci sopra, ma anche dall’alto, sia dalla sponda bresciana usando la Sp 510 sia da quella bergamasca sopra Tavernola. E oggi sono tornato per vedere lo smontaggio. Credo di aver scattato 600 fotografie».

Accanto a lui, un uomo sorride. È un operaio di origine albanese arruolato da The Floating Piers. «Lavoro qui da settembre. Per noi l’esperienza non si è ancora chiusa. Andrà avanti ancora per tre mesi».

Già, tre mesi. Tanto ci vorrà affinchè l’opera d’arte diventi, a tutti gli effetti, solo un ricordo. Christo infatti è stato irremovibile: non deve rimanere più nulla di The Floating Piers. E se i tronconi, così come il telo giallo dalia, sono già quasi completamente scomparsi dal lago (i cubi di polietilene saranno reimpiegati come materiale plastico mentre il tessuto - feltro compreso - sarà spedito in Germania e riciclato), altrettanto non si può dire per le funi e i 200 ancoraggi.

I corpi morti (ciascuno del peso di 5,5 tonnellate ciascuno, assicurati a 90 metri di profondità) saranno trasportati fino al porto industriale dove, grazie a una gru, potranno riemergere dai fondali. Al ritmo di tre al giorno. Che fine faranno? Verranno polverizzati, per diventare materiale di reimpiego industriale. A quel punto sarà davvero «the end».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia