Italia e Estero

Non rinunciamo a noi stessi

L'editoriale del direttore Nunzia Vallini sugli attentati terroristici a Parigi
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Nel cuore di Parigi come a Bagdad, come a Beirut. Uno squarcio non solo francese, ma europeo. Anche nostro, vissuto nell’intimo. Capace di mettere a rischio in pochi istanti tutte le nostre sicurezze, le nostre certezze, le nostre radici. Fino a minare anche i nostri valori, come quelli dell’accoglienza, tanto per mettere subito il dito nella piaga. La mattanza di Parigi ci porta a dire che nulla sarà più come prima, perché con l’orrore del tiro al bersaglio nella sala concerti e per le strade viene messo in discussione anche il concetto stesso di Democrazia, così come lo intendiamo noi, così come i nostri padri ce l’hanno affidato. E da domani? Liberté, Egalité, Fraternité: anche il motto nazionale della Repubblica francese - riletto con la lente dell’orrore - ha un sapore nuovo, amaro. Stantìo?

Appare inevitabile la tentazione di chiuderci nel nostro fortino, ma così facendo è destinata a morire, con le vittime di Parigi, anche la natura di un Occidente tollerante e aperto. È questo il punto sul quale si gioca questa guerra: portandoci la morte in casa, con la battaglia di Parigi, l’Isis ne ha disegnato con chiarezza anche il fronte. Squarciando la nostra identità. O peggio: portando noi stessi a dividerci sulla possibilità di abdicare alla nostra storia, al nostro presente, al nostro futuro, così come l’avevamo amato, voluto e sostenuto. 

Tre le questioni aperte che qui vale la pena sottolineare. Primo: la carneficina al Bataclan e le granate esplose dietro lo Stade de France ci confermano che la vulnerabilità è diffusa, non è esclusiva di «luoghi sensibili», ma è ovunque. Di fatto tutti noi siamo vulnerabili e nulla possiamo di fronte a chi immola la propria vita per una causa, arrivando a usare il proprio corpo come arma ultima di distruzione. Da qui il disorientamento collettivo. 

Secondo: la nostra capacità di reazione appare scomposta e insufficiente. I balletti sull’asticella dei livelli di allarme, pronti a salire ad ogni rigurgito terrorista, mostrano la loro debolezza. Serve rimodulare la politica di intelligence perché stiamo affrontando emergenze nuove con categorie vecchie. La sensazione è che abbiamo il fiato corto, arriviamo tardi. Ce lo dice anche la cronaca delle ultime ore: mentre l’Antiterrorismo vinceva la sua non facile battaglia contro una rete europea di reclutatori dell’Isis, in campo si stava già schierando un plotone di esecuzione. 

Terza questione: il terrore giustifica e alimenta l’esplosione dei populismi, minando la nostra stessa identità. Rischiamo di non sapere più chi siamo e cosa vogliamo essere. Ben vengano le bandiere a mezz’asta, le esposizioni del tricolore francese, i flash mob, i lumini sui davanzali e le fiaccolate per rischiarare con un po’ di luce questo cielo così nero, ma non cadiamo nella tentazione di abdicare alla nostra anima, al senso delle nostre radici cristiane. Non dobbiamo consentire alla paura della morte di cancellare le ragioni della vita. Con il cuore gonfio di dolore dobbiamo trovare la forza di rivalutare l’attualità del motto Liberté, Egalité, Fraternité. Altrimenti il rischio è che, di paura in paura, diventi inarrestabile la rinuncia a spazi di libertà del fare. Dell’essere. Del credere. Ovvero la rinuncia a noi stessi.

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