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Perdersi nei boschi della storia

Seguendo la via Francigena alla scoperta di castelli dell’anno Mille e seguenti
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In Lunigiana si avverte lo sgomento del tempo. Basta visitarla nel profondo e piano piano recuperi il piacere del passato. Qui ti accompagnano, sempre, stradine bianche, tratturi e sentieri che si snodano o attraversano il Magra alimentato, da nord verso il mare, da innumerevoli torrenti come il Teglia, il Magnola, il Penolo, il Taverone e la Dorbola.

Corrono, tutti, tra declivi e forre che la mano dell’uomo, pur tenace, non ha piegato a suo comodo. Qua e là, come fiori spuntati a caso in un vasto prato, paesi, campanili, ponti, castelli collegati, quasi intrecciati insieme dal più noto tracciato viario che attraversa la Lunigiana e che è, da secoli, la strada «maestra» per eccellenza, la via «sacra» detta Francigena.

Questa assecondò, per circa dodici secoli, l’irrazionale volontà d’infinita schiera di pellegrini in viaggio, alla ricerca dell’espiazione, del perdono divino in tempi in cui, per l’umanità, valeva di più l’aldilà dell’esistenza terrena. Su questo lungo tracciato valga per tutto e tutti la presenza dell’Ospitale di San Jacopo di Filattiera, la memoria del quale è stata recentemente riportata alla luce grazie ad un rinvenuto manoscritto, trovato tra le carte dell’Archivio Comunale.

Scoperta tanto casuale quanto emozionante. Racconta le fatiche di molti e la preziosa funzione delle istituzioni caritatevoli che sulla Francigena sorsero a sostegno dei Pellegrini di pena e di speranza. L’Ospitale - si legge nella prima pagina - detto di San Jacopo è destinato al sussidio degli ammalati, dei poveri e dei pellegrini. Questo è sottoposto agli oneri di mantenere la Casa detta dell’Ospitale coi letti, e quanto si richiede in essa; di dar l’alloggio a tutti i Pellegrini, ed un pane.

Insolito veramente nell’estate 2014. Per vederne uno simile (dicono le cronache) bisogna tornare indietro di 150 anni almeno. Insolito come le atmosfere che, quest’anno, hanno regalato a questa terra di Lunigiana, di per sé già amena e boschiva, brume talmente dense su per i valloni, e cielo così plumbeo da giustificare la domanda fatta alla nostra guida: «Ma qui ci sono i lupi?».

La risposta arriva convinta: «Ci sono, eccome se ci sono...». Seguita subito, la prima domanda, da un’altra: «Che rapporto hanno queste montagne con l’antica magia?». Il prof. Giampietro Rigosa risponde che conosce chi ne può sapere, e aggiunge: «Da queste parti il mistero non è mai del tutto scomparso». Il Professore è bresciano. Ricercatore di storia Alto Medioevale, è membro dell’Associazione Manfredo Giuliani per gli Studi Storici ed Etnografici della Lunigiana, e socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria delle Province parmensi, sezione di Pontremoli, nonché «ambasciatore» lunigianese in terra bresciana.

Mentre ci guida su per le crode boscate, attraversiamo paesi sempre più piccoli, abbandonati, arroccati, turriti, incastellati. A Comano ci abitano solo due persone; Licciana, in inverno, è popolato da qualche vecchio che passa le giornate «appollaiato» sui sedili incastonati agli angoli delle vie. A Monti c’è un avito castello dei Malaspina. La Signora contessa (grazie sempre al nostro impareggiabile accompagnatore) apre le stanze che abita trasformandosi, magicamente, in squisito cicerone.

Su tutti questi borghi incombe l’ombra di grandi castelli, simile a quella proiettata al suolo dai rapaci da preda. Furono costruiti, questi manieri, in date antiche: il Mille e secoli seguenti. Sono stati edificati dai Signori Obertenghi. Oberto, primo conte di Luni e marchese della Liguria orientale, darà il predicato araldico ai Marchesi di Massa, Corsica e Sardegna, ai Pallavicino e Cavalcabò di Cremona, alla Casa d’Este e ai Malaspina signori, per mille anni buoni, di questa bella terra, un tempo percorsa e nota a milioni di pellegrini e viandanti, oggi tagliata fuori dall’autostrada che l’attraversa e ferisce.

Piove.

Prima di scendere nel fondo valle dove ci attendono le fortificazioni antiche di Virgoletta, la Pieve di Santo Stefano a Sorano, del VII secolo, attestata per la prima volta nel 1148 da papa Eugenio XVIII al vescovo di Luni, e la chiesa di San Giorgio a Filattiera dell’XI, la cui torre fu lì posta a protezione della Francigena, ci si inoltra in un umido bosco dove si erge, da circa cinquemila anni, una statua stele ancora in sito.

Grida la sua misterica verità alla luna che, non senza fatica, fa capolino tra le nuvole nerastre e cariche di malie.

Gian Mario Andrico

 

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