Cultura

Una surreale e amarissima «epopea» familiare siciliana

Con «Minchia di mare» Arturo Belluardo racconta la storia di Davide, attraverso una Sicilia viva e guizzante
Tra cielo e mare: la Sicilia raccontata da Belluardo non è certo da cartolina - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Tra cielo e mare: la Sicilia raccontata da Belluardo non è certo da cartolina - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Scheda del libro

TITOLO Minchia di mare
AUTORE Arturo Belluardo
CASA EDITRICE Elliot
PAGINE 183
PREZZO 15,00 €

minchia.jpgC’è una koinè linguistica siciliana che va oltre Camilleri e i suoi inviti a non «rompere i cabbasisi». Un idioma che sa essere straordinariamente musicale e che - a volte - non riesce ad evitare le tinte più aspre e agrodolci. Divagazioni flessuose in cui certe trivialità sono meno volgari di quanto sembri, anche se è difficile spiegarlo in modo compiuto a chi è nato fuori dai confini della Trinacria.

La «Sicilia Bedda» (come intonavano Roy Paci e gli Aretuska nel loro ska dialettale) arsa dal sole che stempera i suoi raggi nel mare azzurro non è certo lo sfondo da cartolina di «Minchia di mare», nuovo romanzo del siracusano Arturo Belluardo. Già il titolo merita una descrizione a sé, in quanto cita un epiteto indicante, di fatto, una sorta di sciatteria di azione e pensiero, l’apoteosi grottesca di chi accomuna mancanza di spina dorsale e poco cervello.

Una categoria dello spirito che nell’idioma siculo avrebbe varie declinazioni, tutte simili e - allo stesso tempo - differenti. Perché mica tutti i gradi di scemenza sono uguali... In questo caso «Minchia di mare» è il ruolo cui è condannato Davide, protagonista di un romanzo che sa essere amaro come il fiele quando tratteggia i lati più crudi di una storia di formazione ed emancipazione familiare. Ma non si tratta di affetti da coltivare e tenere stretti a sé, quanto semmai di una faticosa battaglia per la conquista di uno spazio fuori dall’ombra di un padre «fimminaro» e impudente, e di una cerchia di amici (eccezion fatta per Gallo Massimo, citato sempre con il cognome davanti) poco inclini a sostenere le velleità di un ragazzo - e poi di un uomo - in costante conflitto.

Il racconto. Belluardo, non disdegnando spunti surreali, evita di attenersi alla normale cronologia della vita di Davide, ma ne racconta episodi in ordine sparso, immortalandone senza alcun ordine apparente fanciullezza, pubertà ed età adulta. Come accade nei ricordi, che spesso sono un groviglio confuso di date e volti, l’autore scandisce la vita di Davide tra schiaffoni, insulti gratuiti (che qui non ripeteremo...), delusioni e piccole conquiste. Il tutto giocando con la pagina scritta come fosse un album di fotografie messe a caso, dove i giochi sulla spiaggia o le camminate da scuola a casa si mischiano alle soddisfazioni di una vita matura lontana dalla casa del padre, che comunque resta un richiamo cui è difficile rimanere insensibili.

La storia di Davide ruota intorno al fratello, alla madre dal carattere irrequieto e al padre, comunista con due famiglie e con una morale inesistente, che sfascia i legami con noncuranza, pur richiamando a sé la moglie negli ultimi giorni di vita terrena

Grandi speranze. Senza diventare necessariamente l’archetipo di una società in avanzamento, l’epopea di Davide parte dagli anni ’70 per mostrare riti scomparsi e approcci alla vita e al rapporto padre-figlio che suonano come arcaici. I «tumpuluna» somministrati dal papà sono un tutt’uno con la sessualità scoperta nello squallore di un postribolo, dove Davide incontra l’ineffabile genitore. Clienti l’uno all’insaputa dell’altro. Poi il rapporto con la procace sorellastra Rosa e con una povertà che confina con la fame. Belluardo regala uno spaccato di Sicilia malevola e crudele, ma riesce a suscitare più di qualche risata, tra polvere e dialetto. Una lingua fatta di carne e sangue, che non sarà ridanciana come gli sproloqui di Catarella (il più spassoso dei personaggi della «saga di Montalbano»), ma restituisce qualcosa di incredibilmente vero. Con quella punta di dolore che profuma di zolfo, mare e terra rovente, ma gloriosamente bella.

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