Kiremba, storia di solidarietà lunga oltre mezzo secolo

Nel 1963-64 la nascita della missione nel nome di Paolo VI. Il lebbrosario, la visita di Boni e del Vescovo Morstabilini
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Kiremba, provincia di Ngozi, Stato del Burundi, Africa centrale. È il nome che forse richiama maggiormente la generosità dei bresciani. Una missione cattolica, un ospedale sorti oltre mezzo secolo fa nel nome di Paolo VI, un dono che la comunità bresciana volle fare nel 1963 al «suo» neoletto Papa. Un frutto maturato ad opera di sacerdoti, religiose, medici, infermieri, tecnici, maestranze, volontari bresciani, grazie alle offerte della nostra gente. Il giornale fu subito al fianco dell’impresa, dando voce al progetto e lanciando una sottoscrizione. Una delle tante occasioni in cui il quotidiano ha sostenuto iniziative solidali, in Italia e all’estero. Il 9 agosto 1965, nella sede in via Saffi, gli amministratori del GdB consegnarono sei milioni di lire (il mensile di un operaio si aggirava intorno alle 86mila lire) al geometra Mario Dioni, il progettista della missione con l’ing. Claudio Pogliaghi. La somma era destinata alla costruzione del lebbrosario e dell’acquedotto.

L’unica fonte idrica della zona, spiegava il giornale il 10 agosto, era «una palude di circa tre chilometri nei pressi della missione. In essa trovano rifugio durante la notte i grossi animali; essa è ricetto di coccodrilli. Per le esigenze della missione quest’acqua viene filtrata; ma la popolazione con disinvoltura usa servirsi dell’acqua stessa anche per bere. Donde i frequenti casi di tifo e altre malattie». Dunque, bisognava posare un conduttura per captare l’acqua di una sorgente potabile vicina. Finalmente «i bambini che frequentano le scuole, prima dell’inizio delle lezioni, potranno fare la doccia (i bagni per pulizia personale sono rarissimi laggiù, per ora)»,

A Kiremba si trovavano don Giovanni Arrigotti, don Giovanni Cabra e don Giovanni Belotti, insieme a diversi missionari laici. L’11 agosto il sindaco Bruno Boni e Mario Dioni partirono alla volta del Burundi per consegnare il denaro al Vescovo locale.

Nell’agosto dell’anno seguente, invece, fu il Vescovo di Brescia, mons. Luigi Morstabilini, a visitare la zona. Era accompagnato dal suo segretario don Luciano Baronio e da mons. Albino Luciani (il futuro Giovanni Paolo I), Vescovo di Vittorio Veneto, diocesi che condivideva con Brescia l’impegno per Kiremba. Prima la capitale Bujumbura, poi tappa a Ngozi, «tenuta dai padri bianchi bresciani», scrisse il nostro giornale il 28 agosto 1966. «Qui il presule si è incontrato con padre Lorini, padre Bortoli e padre Brignoli». Clou del viaggio era Kiremba. «Oltre duemila persone hanno festeggiato il Vescovo di Brescia». Il presule, «a bordo di una jeep denominata Gavardina in quanto dono dei fedeli di Gavardo, si è spinto nella succursale di Rutagarye, dipendente dalla missione di Kiremba». Una parrocchia di 60mila abitanti, che si estendeva per 800 kmq.

Un reportage in più puntate da Kiremba, firmato Bruno Marini, fu pubblicato dal Giornale di Brescia nel marzo del 1970. «L’ing. Claudio Pogliaghi e il geometra Mario Dioni - si legge nel primo articolo del 24 marzo - nel 1964 progettarono la missione. Arrivarono qui che non c’era niente. Soli, si misero al lavoro. Cinque anni dopo - dodicimila giornate di lavoro con le offerte dei cattolici bresciani - le scuole, la chiesa (del geometra Fausto Leali), l’ospedale e quant’altro fa oggi di Kiremba una cittadella della pietà, del riscatto e della speranza». Il Burundi, grande come Lombardia e Piemonte messi insieme, aveva allora 3,5 milioni di abitanti; trecento gli stranieri, un terzo bresciani. Duecentoventi i milioni spesi fino al 1970 (come 350 «Fiat 600»), centodue quelli raccolti fra il 1968 e il 1970 anche grazie alle campagne del giornale «Kiremba».

Il legame fra Brescia e la parrocchia africana prosegue. Il seme gettato nel nome di Paolo VI ha dato buoni frutti.

Enrico Mirani

 

 

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