Scuola

Crescere grazie al linguaggio della musicoterapia

Claudio Cominardi racconta la propria esperienza, a cominciare da Lumezzane
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Fosse solo questione di note giuste... O di brani musicali più forti di silenzi e idiosincrasie, tanto sono belli. No, la musicoterapia è qualcosa di più profondo. E complicato: è un linguaggio che fraternizza con altri linguaggi e osa fino a dove, a volte, parole o gesti non riescono ad arrivare.

Claudio Cominardi ha scelto questa disciplina per approcciarsi ai ragazzi. Un percorso sviluppato, lo racconta lui stesso, «in buona parte fuori dall’Italia, che non riconosce ancora la musicoterapia come professione, a differenza di quanto avviene nel resto del mondo».

Attualmente Claudio, originario di Sale Marasino, si divide tra Lumezzane e Rodengo Saiano. In particolare, in Val Gobbia lavora in due istituti scolastici, uno dei quali - la scuola per l’infanzia S. Gianna Beretta Molla - ha recentemente ricevuto la visita, nell’ambito del progetto europeo Comenius Regio, di una delegazione dell’Universidad Pontificia Comillas de Madrid. «È stata un’esperienza positiva: hanno osservato il modello teorico che utilizziamo e il mio lavoro che media tra vari linguaggi».

Ma come funziona la musicoterapia? È un percorso unico e, soprattutto, come può essere d’aiuto nei rapporti con i più piccoli? «Personalmente - sottolinea Claudio - il mio metodo, rivolto in genere a bambini dai tre ai cinque anni, punta a instaurare rapporti di relazione e apprendimento. La musica non va intesa come qualcosa da imporre attraverso disciplina e studio, ma diventa un veicolo espressivo».

Ragione per la quale bisogna sgomberare la mente da ogni filtro o prevenzione: un percorso di musicoterapia non richiede competenze musicali e non è obbligatoriamente legato all’ascolto o alla pratica su uno strumento: «Con i bambini lavoro attraverso le performance, un approccio che definirei jazzistico, quasi alla Ornette Coleman: utilizzando strumenti quali tamburi, maracas o triangoli faccio improvvisare i bambini in modo totalmente libero, affinché scoprano la propria espressività».

Questo è solo uno dei passaggi, perché accanto all’aspetto sonoro entrano in gioco «i colori, il movimento corporeo. Tutto finisce per essere messo in relazione per progetti che non sono frutto dell’influenza di modelli predeterminati».

La musicoterapia può così essere indicata per bambini iperattivi, con problemi di autismo o, magari, con deficit di attenzione: «Va detto che vista la fascia di età dei ragazzi con cui mi trovo a lavorare, è più una scelta preventiva che un vero intervento curativo, ma comunque questo tipo di disciplina consente di capire meglio i comportamenti, il tutto perché questi sono riflessi nel modo in cui ci avviciniamo alla musica. Con simili percorsi si ottengono risultati a livello di lateralizzazione, coordinazione motoria o di maggiore attenzione».

I benefici possono essere anche a più ampio raggio, fino a comprendere l’integrazione tra i bambini: «Grazie alla musicoterapia è più facile, ad esempio, superare certe barriere linguistiche. Del resto io non insegno competenze musicali, ma a costruire rapporti di relazione attraverso il suono».

Claudio Cominardi, quindi, non forma musicisti o musicofili, ma aiuta a trovare, unendo stimoli diversi, veicoli di espressione più efficaci, così da superare certe barriere e migliorare la capacità di rapportarsi agli altri. «Manca solo che l’Italia, l’università in particolare, dia il giusto credito alla musicoterapia. L’Università Cattolica di Brescia ha dimostrato sensibilità, ma serve di più». Perché a questo accordo non manchi sempre la nota principale, quella che lo trasformi in sinfonia.

Rosario Rampulla

 

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