Scienza

Snoopy, naso elettronico che scova le persone nascoste

Il progetto da 3 milioni di euro è coordinato dal Laboratorio Sensor di Ingegneria di Brescia
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Si chiama Snoopy ma non è il bracchetto di Charlie Brown. È un naso elettronico dotato di un olfatto straordinario, che si avvicina molto a quello del migliore amico dell’uomo.

Snoopy (acronimo di Sniffer for concealed people discovery: naso per scoprire persone nascoste) è un progetto di ricerca europeo per la realizzazione di naso elettronico coordinato dall’ateneo di Brescia. L’obiettivo è creare uno strumento portatile in grado di svelare la presenza di persone nascoste in spazi chiusi (ad esempio nei container) fiutando specifiche molecole rilasciate dal corpo umano attraverso il sudore o il respiro. Un utile ausilio per arginare il traffico illecito di persone alle frontiere.

Protagonisti del progetto, dal valore complessivo di circa 3 milioni di euro, sono il laboratorio Sensor del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Brescia (in veste di coordinatore) e una serie di centri di ricerca e aziende della comunità europea: l’Università di Roma Tor Vergata, l’unità di Brescia dell’Istituto Nazionale di Ottica del Cnr, l’azienda inglese C Tech Innovation, il Center for Security Studies (in Grecia) e la multinazionale tedesca Airbus Group.

Il team di Snoopy ha cominciato a lavorare al progetto in gennaio: ha tre anni per realizzare il nuovo dispositivo. «Oggi per scovare persone nascoste vengono solitamente utilizzati i cani - spiega Giorgio Sberveglieri, docente a Ingegneria e direttore del laboratorio Sensor -. Certo, il loro fiuto è ineguagliabile. Ma l’alternativa high tech che stiamo progettando, diversamente da un cane da fiuto, può lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e non è necessario che sia guidata da un addestratore.

In più, vogliamo che il nostro dispositivo sia realizzato con tecnologie che non richiedano grossi investimenti, tale da essere prodotto anche da piccole e medie imprese, che invitiamo a contattarci per collaborare al progetto».

Maria Cristina Ricossa

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