Scienza

Il clima che cambia: l’Italia ha perso 70 ghiacci

AA

L’Università degli Studi di Milano ha recentemente ospitato la presentazione del nuovo catasto dei ghiacciai italiani.

A coordinare il lavoro è stato il professor Claudio Smiraglia, che ha operato assieme ad un'equipe di glaciologi in collaborazione con l'associazione EvK2Cnr e il Comitato Glaciologico Italiano, analizzando ed elaborando a partire dal 2012 i dati raccolti nel corso di un decennio.

Smiraglia ha dichiarato che è stato fondamentale anche l’apporto di esperti e di amministrazioni locali, attraverso i quali il quadro attuale proposto assume non solo un carattere scientifico, ma mette in evidenza anche le implicazioni sul territorio dei cambiamenti in corso.

Il nuovo catasto integra quelli precedenti realizzati nel 1962 e nel 1984, e fornisce un quadro aggiornato dei ghiacciai italiani.

Dagli anni Cinquanta dello scorso secolo fino ad oggi il numero dei ghiacciai esistenti nel nostro paese è passato da 896 a 824. Tale crescita non è tuttavia un elemento da giudicare in modo positivo: l’incremento numerico va infatti ricondotto alla frammentazione in corso dei sistemi glaciali complessi che si smembrano in ghiacciai di dimensioni più ridotte. La superficie complessiva è passata infatti dagli anni Ottanta ad oggi da 609 a 368 chilometri quadrati, e quella media è pari a 0,4 chilometri quadrati. Estensioni ridotte espongono i ghiacciai in maniera più marcata ai fenomeni di fusione, i cui effetti sono resi evidenti anche da un significativo calo del volume complessivo.

Qual è in particolare la situazione dei ghiacciai della Lombardia?

La risposta è stata fornita da Riccardo Scotti, geologo, glaciologo e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, invitato pochi mesi fa a tenere uno specifico incontro dalla Scuola di alpinismo e scialpinismo del Cai Brescia.

Il tema, freddo per definizione ma caldo per attualità, si correla ad aspetti che riguardano direttamente la società civile, e non solo chi frequenta l'alta montagna. Basti pensare alla possibilità di alimentare le centrali idroelettriche, o ancora alla riserva di acqua conservata, quantificata in Lombardia in un volume pari a 3,5 miliardi di metri cubi.

I dati che ha esposto Scotti sono i più completi e aggiornati tra quelli esistenti nella nostra regione, poiché derivano dalle campagne condotte ogni anno dal Servizio Glaciologico Lombardo.

Si contano attualmente in Lombardia 203 ghiacciai e 209 forme glaciali minori, rappresentate da nevai permanenti o ex ghiacciai.

La distribuzione delle superfici glaciali è molto particolare. I tre ghiacciai più grandi coprono infatti da soli il 41 per cento di quella complessiva: l’Adamello con 16,6 chilometri quadrati (primo per estensione in Italia), i Forni con 11,4 (secondo in Italia) e Fellaria con 9,2.

A questi tre colossi si affiancano numerosi ghiacciai molto piccoli: il 94 per cento presenta infatti una superficie inferiore al chilometro quadrato.

Il glacialismo lombardo segue un’evoluzione analoga a quella in corso sulle più grandi catene montuose del pianeta: dall’Himalaya alle Ande, dall’Alaska fino al Caucaso, dove si registrano regressi ininterrotti dal 1980 ad oggi. Fa certamente impressione conoscere le variazioni che hanno interessato la superficie del ghiacciaio dell’Adamello. Dal 1888 al 2007 si è ridotta del 25 per cento, passando da 22,2 chilometri quadrati a 16,6. Dal 2007 al 2013 nei pressi della fronte si è registrata una riduzione di 25 metri di spessore.

Non stanno meglio gli altri ghiacciai di questo stesso gruppo montuoso, che tra il 1991 e il 2007 hanno fatto registrare una perdita complessiva del 14 per cento. Si è osservato nello stesso periodo che gli apparati glaciali di altri gruppi lombardi hanno mostrato riduzioni ancora più accentuate: il 39 per cento sulle Orobie, e il addirittura il 49 nel gruppo Codera-Masino. La spiegazione è dovuta al fatto che ghiacciai di dimensioni grandi sono in grado di resistere meglio al riscaldamento globale, mentre quelli più piccoli e a quote più basse tendono a scomparire più velocemente.

Le copiose nevicate dell’inverno in corso potranno ridurre quest’anno le perdite in corso, ma solo se le temperature estive consentiranno alla neve di conservarsi.

Una vera e propria inversione di tendenza potrebbe ottenersi a seguito di un periodo di condizioni climatiche favorevoli della durata di almeno un decennio.

Ruggero Bontempi

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia