Rischio cardiometabolico: come evitare l’invecchiamento

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Individuare i pazienti a rischio, eseguire esami diagnostici che consentano di valutare il danno d’organo e trattare tempestivamente.

Sono questi i passaggi principali per contrastare l’ipertensione arteriosa, il più frequente fattore di rischio cardiovascolare correggibile con la terapia. Una condizione che, molto spesso, si associa ad altri fattori di rischio metabolici, come la dislipidemia, le alterazioni del metabolismo glucidico e il diabete, spesso associati a obesità, iperuricemia e sedentarietà.

«La pressione alta è un fattore di rischio cardiovascolare tra i più importanti. Gli eventi cardiovascolari, come infarto e ictus, sono preceduti da alterazioni di vari organi bersaglio. Queste alterazioni in molti casi inizialmente non provocano sintomi ma sono in seguito la vera causa della malattia. È su questi danni d’organo che bisogna intervenire, impedendo che si sviluppino o che progrediscano» spiega Enrico Agabiti Rosei, direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università di Brescia e presidente del simposio internazionale dal titolo «Management of cardiometabolic risk and healthy aging» organizzato dal Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università di Brescia e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini.

L’ipertensione provoca un sovraccarico di pressione a danno del ventricolo sinistro del cuore. Ciò determina un’ipertrofia, cioè un aumento della massa muscolare del ventricolo e, di conseguenza, possibili danni al cuore. Per queste ragioni, è raccomandato un controllo nelle persone con pressione alta per verificare il rischio di problemi cardiaci. «Tra gli esami disponibili, l’elettrocardiografia è quello a minor costo, ma anche con una bassa capacità di individuare l’ipertrofia del ventricolo» prosegue Agabiti Rosei. «La risonanza magnetica cardiaca consente di visualizzare immagini in 3D del cuore con un’elevata risoluzione, ma la sua limitazione è rappresentata dalla scarsa diffusione e dai costi elevati. L’ecocardiografia rappresenta sicuramente un valido metodo per l’individuazione dell’ipertrofia, è disponibile in molti ospedali e a un costo relativamente contenuto. La principale limitazione riguarda la minore risoluzione delle immagini rispetto alla risonanza magnetica, ma con lo sviluppo di nuovi programmi per la visione in 3D, l’ecocardiografia potrebbe avere sviluppi promettenti in futuro. Oggi, comunque, l’ecocardiografia standard rappresenta l’esame più utilizzato per la valutazione della struttura del ventricolo sinistro nei pazienti con ipertensione».

Un altro metodo per individuare i danni provocati dall’ipertensione riguarda lo studio delle arterie di calibro maggiore, che perdono progressivamente elasticità, e anche l’analisi delle piccole arterie e della rete capillare. Infatti, l’ipertensione arteriosa provoca alterazioni del microcircolo, principalmente l’incremento dello spessore della parete e la riduzione del diametro interno delle piccole arterie, e queste alterazioni sono un potente predittore di eventi cardiovascolari. «Il microcircolo è quella parte del circolo composta da vasi di piccolissime dimensioni (inferiori a 300 micron), responsabile non solo della distribuzione del sangue negli organi più importanti ma anche delle sue resistenze al flusso» spiega Agabiti Rosei. «Rappresenta, dunque, la sede di alterazioni che influenzano anche la circolazione delle grandi arterie». In alcuni studi, la valutazione della struttura delle piccole arterie è stata eseguita con una tecnica, detta micromiografica, assai precisa e attendibile, utilizzata in pochi laboratori di ricerca, nella quale i piccoli vasi vengono dissezionati e isolati da biopsie tissutali, e sottoposti a misurazioni morfologiche e a valutazione delle risposte funzionali. Tecnica che ha permesso di confermare le alterazioni delle piccole arterie nei soggetti ipertesi e di confermare come i trattamenti farmacologici e clinici possono invertire questo processo. Da non trascurare, però, anche i cambiamenti dello stile di vita.

«Una cospicua riduzione di peso in pazienti con grave obesità incide non solto su diverse alterazioni emodinamiche (come la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca) e metaboliche (dislipidemia, insulino-resistenza) ma anche sul danno d’organo precoce e in particolare sulle alterazioni della struttura del microcircolo - conclude Agabiti Rosei -. La riduzione del peso corporeo si associa a un notevole miglioramento delle alterazioni strutturali vascolari nelle piccole arterie sottocutanee nonché degli indici circolanti di stress ossidativo».

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